giovedì 14 ottobre 2010

Il Belpaese non conquista i cervelli


La scorsa settimana si è celebrata l'annuale cerimonia per il conferimento dei premi Nobel. Futura ha omaggiato l'evento pubblicando due articoli, uno dei quali sul grafene, materiale "bidimensionale" che ha fatto conquistare il premio Nobel a Kostantin Novoselov e Andre Gaim. I due fisici sono di origine russa anche se Novoselov ha cittadinanza inglese e Gaim cittadinanza olandese. Entrambi lavorano presso l'Università di Manchester. Questo fa si che l'orgoglio derivante dall'avere ottenuto un premio così prestigioso vada diviso tra diverse nazioni. La Russia può adesso vantarsi di avere dato i natali ad altri due premi Nobel (raggiungendo così quota 23). I Paesi Bassi hanno già aggiunto Gaim alla loro (relativamente lunga) lista raggiungendo così quota 19. Infine l'Università di Manchester può ora vantare 25 premi Nobel, nonostante i recenti tagli ai finanziamenti per la ricerca attuati dal governo britannico.

Uno scenario così internazionale è da considerarsi come classico esempio delle dinamiche che caratterizzano la ricerca scientifica soprattutto negli ultimi decenni. Gli istituti di ricerca sono dei veri e propri luoghi di raccolta di persone capaci e brillanti a prescindere dalla loro nazionalità. E queste stesse persone prima di approdare in un istituto dove si stabilizzano hanno raccolto per diversi anni esperienze lavorative in molti altri Paesi. I premi Nobel per la fisica 2010 esemplificano appunto questi aspetti. In genere, uno sguardo alle statistiche di famigerate università (ad esempio Columbia, Cambridge e Chicago) rivela che questo carattere squisitamente internazionale è tipico: spesso questi centri di ricerca sono il luogo in cui accademici di diverse nazionalità svolgono le loro ricerche di punta.

Volgiamo adesso lo sguardo al nostro Belpaese cercando di capire come si mostra da questa prospettiva. L'Italia ha dato i natali a 20 premi Nobel. Vogliamo soffermarci solo sui 12 che rientrano nella categoria di ricerca scientifica (fisica, chimica, fisiologia e medicina). Di questi quasi tutti hanno svolto ricerca in istituti italiani anche se non mancano le eccezioni. Si prenda, ad esempio, il caso del premio Nobel per la fisica 2002 Riccardo Giacconi che dopo la laurea all'università di Milano è sbarcato oltreoceano e ha condotto l'intera carriera scientifica negli Stati Uniti (tanto da prenderne la cittadinanza). Probabilmente, questo caso rientra nel tristemente famoso effetto "fuga-di-cervelli" che vede l'Italia svuotarsi di molti scienziati ambiziosi e capaci che vanno in altri Paesi alla ricerca di stimoli e riconoscimenti.

I dati sui Nobel italiani però nascondono un altro allarmante fenomeno. Infatti, sono solo 5 le università italiane (Pisa, Roma, Torino, Bologna e Milano) che possono vantare dei Nobel tra i loro accademici. E si noti che i Nobel di queste università sono italiani (Fermi, Rubbia, Montalcini solo per menzionarne alcuni). Cose ne è di quel paradigma internazionale a cui facevamo riferimento all'inizio dell'articolo? Se le dinamiche internazionali sono ormai intrinseche nelle modalità scientifiche moderne, perchè l'Italia ne è fuori? Quando ci sarà dato gioire perchè una struttura italiana ha ospitato uno scienziato straniero permettendogli di svolgere un progetto da premio Nobel?

Il problema è quindi duplice. Da un lato sempre più studiosi italiani lasciano l'Italia, dall'altro sempre meno studiosi stranieri sbarcano in Italia per svolgere le loro ricerche. È un'immagine chiara. In queste condizioni, l'Italia è un lago destinato a prosciugarsi: un flusso sempre crescente in uscita e un afflusso quasi nullo. Questo non può che portare ad un paesaggio scientificamente arido in tempi brevissimi. Paradossalmente, una semplice soluzione porterebbe rapidi cambiamenti. Infatti, un finanziamento adeguato dei centri di ricerca ridurebbe inevitabilmente il flusso di ricercatori italiani verso l'estero. E allo stesso tempo, darebbe visibilità in un panorama internazionale alla ricerca svolta in Italia rendendo il Belpaese una possibile scelta per un'immigrazione qualificata e continua e non solo per il turismo mordi-e-fuggi. Il meccanismo potrebbe subito entrare a regime e auto-incentivarsi. Basterebbe vedere al di là delle contingenze momentanee ed investire nel campo della ricerca. Il lago da arido, potrebbe addirittura straripare. Basterebbe volerlo, piuttosto che aspettare la pioggia.

MARCELLO CACCIATO

giovedì 7 ottobre 2010

Fisica: due dimensioni per un Nobel

Il premio agli scienziati Andrei Geim e Konstantin Novoselov per la scoperta del grafene, materiale delle meraviglie

Due giorni fa, martedì 5 ottobre, è stato annunciato il conferimento del Premio Nobel per la Fisica 2010 a Andrei Geim e Konstantin Novoselov, due scienziati di origine russa che lavorano presso l'Università di Manchester, nel Regno Unito. A motivare il prestigioso riconoscimento, anni di ricerca e di esperimenti che hanno portato, nel 2004, alla scoperta del grafene, un materiale dalle proprietà a dir poco sbalorditive e dalle molteplici applicazioni tecnologiche, che spaziano dall'elettronica all'ingegneria biomedica.

Questo materiale 'delle meraviglie' non è altro che una forma del carbonio. La novità è nel fatto che, nel grafene, il carbonio è disposto in fogli sottilissimi, dello spessore di un singolo atomo: si tratta in pratica di un materiale bidimensionale. Nel nostro mondo a tre dimensioni, uno spessore così piccolo è praticamente impossibile da immaginare: se impilassimo uno sopra l'altro circa un milione di fogli di grafene, si raggiungerebbe lo spessore di un comune foglio di carta! È proprio a causa della sua infinitesima terza dimensione che questo materiale, la cui esistenza era stata predetta già nel 1947, ha richiesto decenni prima di poter essere isolato in laboratorio.

A seconda del modo in cui gli atomi di carbonio si legano tra loro, questo elemento dà luogo ad una serie di materiali diversi, i più famosi tra i quali sono il diamante e la grafite. Nel diamante, gli atomi di carbonio formano un cristallo resistentissimo disponendosi in una struttura la cui unità di base è il tetraedro—un solido con quattro facce triangolari. La grafite, che si può trovare all'interno delle matite, è invece molto diversa dal diamante, benché entrambi siano formati da atomi di carbonio. Nella grafite, gli atomi si dispongono in una serie di strati con una struttura a nido d'ape, dove l'unità di base è l'esagono, e i vari strati sono tenuti insieme tra di loro da legami tra gli elettroni che appartengono ai vari atomi; i legami che tengono uniti gli atomi in ciascuno strato sono molto più forti di quelli che tengono insieme i vari strati, ed è per questo che, al contrario del diamante, la grafite si sfalda facilmente.

Il grafene consiste in un singolo strato di quelli che costituiscono la struttura della grafite, in un modo che ricorda vagamente gli strati di un wafer. In molti sospettavano che, una volta isolata, una simile struttura a due dimensioni si sarebbe arrotolata su se stessa e non sarebbe rimasta stabilmente in forma piana. Geim e Novoselov, invece, hanno perseverato per anni nella loro ricerca, finché nel 2004 hanno messo a punto un esperimento apparentemente molto semplice: hanno infatti utilizzato del comune nastro adesivo ed un pezzo di grafite e, con il nastro adesivo, sono riusciti a strappare alla grafite strati di carbonio dello spessore di un solo atomo—il grafene, appunto.

Grazie al modo in cui i suoi atomi sono disposti, il grafene è un ottimo conduttore sia di elettricità che di calore, ed ha quindi trovato applicazione immediata nell'industria elettronica; inoltre, ha proprietà di semi-conduttore e per questo può essere utilizzato nella produzione di transistor. Studi recenti hanno dimostrato che questo materiale è anche il più resistente al mondo, ma al contempo è estremamente malleabile ed in aggiunta è praticamente trasparente: per questi motivi, risulta quanto mai adatto alla realizzazione di schermi e display.

I registi della scoperta sono entrambi nati in Unione Sovietica e hanno lavorato insieme per molti anni, prima a Nijmegen, in Olanda, dove Novoselov ha conseguito il suo dottorato proprio sotto la guida di Geim, e poi presso l'Università di Manchester. Alla scoperta del grafene sono arrivati nel tipico modo che è alla base della ricerca scientifica: tentando soluzioni nuove e sempre diverse, che a volte funzionavano ed altre volte no, ma che portavano sempre ad imparare qualcosa che si ignorava in precedenza. In questo caso, gli sforzi si sono rivelati di estremo successo: già nel 2008 gli scopritori del grafene erano tra i favoriti per il premio Nobel, che è infine arrivato nel 2010. Il comitato della fondazione Nobel ha premiato in particolare la geniale creatività che ha caratterizzato molti dei loro esperimenti, e che ha condotto ad una scoperta rivelatasi poi di enorme importanza per un numero sempre crescente di applicazioni alla vita di tutti i giorni.

Sin dalla scoperta, Geim e Novoselov si sono anche dimostrati estremamente aperti nel condividere con il resto della comunità scientifica i loro risultati, come riportato nel sito PhysicsWorld.com dell'Institute Of Physics, dove si racconta anche come i due abbiano formato una generazione di nuovi fisici, invitando numerosi scienziati presso l'Università di Manchester e mettendo a loro disposizione le conoscenze da essi acquisite sui metodi per produrre il grafene. Per omaggiarli, l'Institute Of Physics ha deciso di aprire l'accesso a tutti gli articoli scientifici pubblicati dai due fisici sulle riviste specialistiche edite da questa istituzione.

Oltre alle congratulazioni di fisici e scienziati di tutto il mondo, su Geim e Novoselov sono puntati gli occhi dell'intera comunità scientifica britannica. Nel Regno Unito, infatti, la ricerca scientifica e le istituzioni universitarie sono al momento minacciate da pesantissimi tagli nei finanziamenti. Numerose sono le campagne di protesta in atto contro questi provvedimenti, tra cui l'operazione Science is Vital, che vedrà migliaia di scienziati e membri della società civile sfilare per le strade di Londra il prossimo sabato 9 ottobre.

Dopo il conferimento del Nobel a due eccellenti professori di un'università britannica, sono in molti a sperare che il prestigioso riconoscimento, premiando non soltanto una scoperta dalle molteplici applicazioni industriali e tecnologiche ma anche gli intensi sforzi e le lunghe ricerche che l'hanno preceduta, porti un messaggio alla politica, mostrando ancora una volta il valore immenso della ricerca scientifica all'interno della società.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine in alto, Andrei Geim e Konstantin Novoselov (Foto di Russell Hart/Univesity of Manchester); al centro, la struttura bidimensionale del grafene (Fonte: Wikimedia Commons); in basso, il logo dell'iniziativa Science is Vital.

giovedì 23 settembre 2010

Napoli, 4 giorni da capitale delle stelle


All'Osservatorio Astronomico di Capodimonte si apre questo pomeriggio il 48esimo Congresso Nazionale dell'Unione Astrofili Italiani (UAI), l'associazione che raccoglie gli appassionati di astronomia del nostro paese. Organizzato dall'Unione Astrofili Napoletani (UAN), il congresso durerà 4 giorni, da oggi fino a domenica 26 settembre.

L'evento corona un intero anno, il 2010, che ha visto la città di Napoli protagonista nazionale nel campo dell'astronomia. In maggio si è infatti tenuto, sempre presso l'Osservatorio di Capodimonte, il LIV Congresso della Società Astronomica Italiana, mentre da marzo a luglio la Città della Scienza ha ospitato la mostra itinerante Astri e particelle, a cura dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica e dell'Agenzia Spaziale Italiana. Queste ed altre manifestazioni, parte del programma di 'Napoli Astronomia 2010', hanno portato avanti, con successo, il sodalizio consolidatosi tra astronomi, astrofili, divulgatori ed il grande pubblico durante il corso del 2009, dichiarato dall'Onu Anno Internazionale dell'Astronomia.

"L'idea di proporre l'UAN e Napoli per il Congresso Nazionale di Astrofili è nata oltre un anno fa," racconta Lino Manfredi, vicepresidente dell'associazione di appassionati di astronomia napoletani. "La preparazione dell'evento è stata molto impegnativa, anche perché non ci siamo accontentati di organizzare semplicemente il congresso, ma abbiamo voluto aprire le porte al territorio," continua Manfredi. Infatti, le sessioni più strettamente tecniche del congresso saranno affiancate da una ricca costellazione di eventi per il pubblico nel panorama d'eccezione offerto dalll'Osservatorio di Capodimonte, che ospita anche la sede dell'UAN.

Tra gli eventi in programma per stringere il legame con il grande pubblico e mostrare a tutti le meraviglie del cielo, sono previsti: visite all'Osservatorio, con due osservazioni guidate del cielo notturno attraverso i telescopi dell'associazione (giovedì e venerdì sera, dalle ore 21 alle ore 23) ed una osservazione del Sole (sabato mattina, dalle ore 9 alle ore 13); uno stravagante concerto di musica classica dal titolo Atlas Coelestis, la musica e le stelle, a cura di Giovanni Renzo (venerdì sera alle ore 20); una mostra fotografica e multimediale, una mostra d'arte con l'esposizione di una dozzina di quadri di ispirazione astronomica, ed infine una mostra filatelica, accompagnata da uno speciale annullo postale.

Per quanto riguarda le attività del congresso, il programma comprende una serie di sessioni tematiche, che spaziano da argomenti di ricerca nel campo dell'astronomia ed astrofisica a questioni di carattere più sociale quali l'importanza della divulgazione e della didattica di queste materie. Al congresso prenderanno parte anche astronomi ricercatori presso l'Inaf-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Napoli, e presso il Dipartimento di Scienze Fisiche dell'Università di Napoli, coinvolti sia direttamente, con conferenze incentrate sui temi della loro ricerca, che indirettamente, come tutor di astrofili relatori.

Gli argomenti presentati copriranno tutte le scale cosmiche, a partire dal nostro Sistema Solare, con la formazione di stelle e pianeti e l'esplorazione di uno dei corpi celesti a noi più vicini, Marte, passando per la vita e morte delle stelle, lo studio della nostra Galassia e di altre galassie, sempre più lontane. La cosmologia, ovvero lo studio dell'Universo nella sua totalità, sarà oggetto di un intervento del Prof. John Gribbin, dell'Università del Sussex, nel Regno Unito. Il Prof. Gribbin è un celebre divulgatore dell'astronomia e presenterà il suo nuovo libro, Alla ricerca del Multiverso, Sabato 25 settembre alle ore 19. Il libro affronta una serie di domande fondamentali sulla nascita ed evoluzione del cosmo, inclusa l'ipotesi del Multiverso, cioè la possibilità che il nostro Universo sia di fatto soltanto uno fra tanti universi paralleli.

La comunicazione della scienza, e in questo caso dell'astronomia, al grande pubblico è un argomento centrale nei rapporti tra gli scienziati ed il resto della società: in questo processo, gli appassionati di astronomia svolgono un ruolo di notevole importanza. L'insegnamento dell'astronomia, il valore della divulgazione scientifica e le attuali prospettive di dialogo tra scienza e società saranno gli argomenti delle conferenze che si terranno venerdì 24 Settembre, insieme ad altre sessioni incentrate su tematiche quali l'inquinamento luminoso e la storia dell'astronomia.

Una sessione particolarmente originale è prevista per sabato pomeriggio, dal titolo Lei è un'astrofila - L'astrofilia dell'altra metà del cielo. "Questa sessione è stata fortemente voluta da Anna Maria Saccà, responsabile della sezione Divulgazione e Didattica dell'associazione," spiega Concetta Bennici, socia UAN ed ex insegnante di matematica e fisica nei licei, che durante il congresso racconterà i risultati della sua ricerca sul complesso ruolo delle donne nel campo dell'astronomia, sia intesa come professione che come semplice passione, appunto, da astrofila.

Per saperne di più: Napoli Astronomia 2010

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine, il panorama di Napoli visto dalla suggestiva cornice dell'Osservatorio di Capodimonte. (Foto UAN)

lunedì 31 maggio 2010

Scienza e crisi


Negli ultimi giorni si è parlato molto, in Italia, di tagli alla spesa pubblica e una nuova manovra sta per essere varata proprio in queste ore. La scorsa settimana indiscrezioni non troppo discrete annunciavano, fra gli altri, la soppressione di svariati istituti di ricerca, ritenuti "inutili" e quindi non degni di continuare ad esistere. Tra essi, l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Questo blog, da oltre un anno, cerca di fare un po' di informazione (più che di comunicazione) proprio su argomenti di astronomia e astrofisica. La situazione merita quindi un post eccezionale, di lunedì invece del solito giovedì, e quindi svincolato da Futura. Anzi, per l'occasione rimandiamo i lettori a un bel post scritto, sulla vicenda, da un'altra astrofisica, Eleonora Presani, che anche si occupa di comunicazione della scienza attraverso il blog Appunti digitali.

La scienza nell’Italia della crisi
di Eleonora Presani - lunedì 31 maggio 2010

Oggi mi sento in dovere di raccontare al pubblico di Appunti Digitali le decisioni che il governo italiano sta per prendere nel decreto legge del 26 Maggio (art. 7), in cui si discute la “soppressione e incorporazione di enti ed organismi pubblici”. L’intera manovra è molto discussa, ma in questo post mi limito a spiegare quello che sta succedendo alla ricerca, sperando di portare ad una riflessione. [leggi tutto]

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La manovra è in fase di discussione finale e le notizie di questa mattina sembrano indicare che molti di questi istituti, grazie anche alla mobilitazione di scienziati e parte della società civile, continueranno ad esistere. Ma continuiamo a stare vigili. E soprattutto, continuiamo a respirare. "Perché quando si annega il fiato è prezioso, e ciascuno è impegnato soltanto a salvarsi." [cit. A.Bajani]

giovedì 6 maggio 2010

Eclissi in miniatura per scoprire nuovi mondi


Le eclissi solari sono senza dubbio un evento affascinante e spettacolare: la Luna si frappone fra il Sole e la Terra nascondendo parzialmente o totalmente agli osservatori, per alcuni minuti, il disco solare. Quando l'eclissi è totale, la parte più esterna dell'atmosfera del Sole, chiamata corona solare, diventa visibile.

Negli anni trenta del secolo scorso, l'astronomo francese Bernard Lyot sviluppò un sistema di maschere per simulare, ottimizzandolo, l'effetto di un'eclissi totale, al fine di studiare meglio e più a lungo la corona solare. Chiamò il suo strumento "coronografo". Con il progresso della tecnologia, si è pensato di "miniaturizzare" e raffinare i coronografi per mascherare non più la luce del Sole, ma quella delle stelle lontane, ed esplorarne così le vicinanze per cercare la presenza di uno o più pianeti.

Al giorno d'oggi esistono molti tipi diversi di coronografo: alcuni cercano di concentrare tutta la luce della stella nella sua zona centrale, per mascherarla più efficacemente; altri cercano di sfruttare il fatto che la luce è composta da onde, ed è possibile farle interferire per annullarle a vicenda: se infatti le creste di queste onde sono perfettamente allineate, allora la loro somma sarà un'onda luminosa più intensa; se al contrario la cresta di una delle onde è allineata con la gola di un'altra, la somma di queste onde sfasate sarà un'onda di intensità nulla.

Ulteriori tipi di coronografo sono in fase di studio, e prevedono di recuperare con un sistema di lenti la luce concentrata e mascherata, e registrarne l'immagine su un ologramma. L'ologramma è un dispositivo che consente di registrare non solo l'intensità della luce, come avverrebbe in una normale fotografia, ma anche l'informazione relativa alla posizione delle creste e delle gole delle onde luminose, che possono essere più o meno sfasate. Queste onde di luce recuperate dalla maschera, che appartengono alla luce della stella, vengono sottratte alla luce passata attraverso il coronografo, che appartiene sia alla stella che ad un eventuale pianeta. Le onde di luce della stella si annullano, mentre la luce del pianeta, che è sfasata rispetto a quella della stella, non viene cancellata e il pianeta diventa visibile.

Finora sono stati scoperti oltre 400 pianeti extra-solari utilizzando svariati metodi. Alcuni di essi, quelli orbitano intorno ad astri relativamente vicini, sono già stati osservati utilizzando i coronografi: si tratta di pianeti simili al nostro Giove in termini di distanza dalla stella ed intensità della luce riflessa. La difficoltà nell'osservare pianeti simili alla Terra sta appunto nella piccola distanza e nella debolezza della luce.


Facciamo un esempio: a 36 anni luce da noi si trova una stella di nome Gliese 436, provvista di un pianeta. Immaginiamo che questo pianeta ospiti una colonia di alieni che, curiosi del cosmo come noi, si siano equipaggiati con un telescopio analogo al telescopio spaziale Hubble. Se questi alieni puntassero il loro potente strumento in direzione del nostro Sole, la Terra risulterebbe dieci miliardi di volte meno luminosa di esso. E se questo non fosse già sufficiente a rendere estremamente difficile l'osservazione della Terra intorno al Sole, c'è da aggiungere che la distanza in cielo dei due astri sarebbe piccolissima: appena quattro decimillesimi di grado (per confronto, la Luna misura circa mezzo grado). Sarebbe come cercare di osservare dalla Corsica una lucciola posta a dieci centimetri dalla Lanterna di Genova! Se però questi alieni avessero a disposizione un coronografo di ultima generazione, sicuramente si potrebbero accorgere, se non di noi, almeno del nostro piccolo pianeta.

Nell'attesa di ricevere eventuali notizie dai curiosi alieni del pianeta Gliese 436B, sta a noi cercare di migliorare le prestazioni dei coronografi e di altri, interessanti strumenti (come per esempio gli interferometri, cioè reti di telescopi collegati fra loro per avere immagini con una risoluzione sempre maggiore), tutto ciò per spingerci ancora più in profondità e cercare pianeti ancora più vicini alla loro stella, ancora meno luminosi, intorno a stelle ancor più lontane, e cercare di capire quanto gli altri sistemi solari siano simili al nostro.

DAVIDE RICCI

Nelle immagini, lo schema del funzionamento di un coronografo per individuare pianeti intorno ad altre stelle mediante l'uso di un ologramma (in alto), e un'immagine dell'osservazione diretta di tre pianeti attorno alla stella HR8799 (in basso), effettuata usando un particolare tipo di coronografo detto "a vortice vettoriale", che sfrutta il fenomeno dell'interferenza per annullare la luce della stella (NASA/JPL-Caltech/Palomar Observatory). La scoperta, di E. Serabyn, D. Mawet & R. Burruss, è stata annunciata nel numero del 15 Aprile 2010 della rivista Nature.

giovedì 25 marzo 2010

Nascono i laboratori 2.0

Astronomi e biologi in testa tra i ricercatori che ricorrono all’aiuto del pubblico

L’ultimo decennio ha visto una crescita esponenziale del fenomeno dei “citizen scientists”, membri del pubblico che prendono parte ad autentici progetti di ricerca, chiamati a raccolta dagli scienziati. A beneficiare di queste iniziative sono entrambi i gruppi: i ricercatori, che usufruiscono dell’aiuto massiccio di grandi schiere di osservatori, e il pubblico, che entra in contatto con le tematiche concrete della ricerca e può provare l’ebbrezza del “fare scienza”.

Nonostante la recente popolarità di questi progetti, l’idea di ricorrere all’aiuto di non-scienziati ha oltre un secolo. Dall’anno 1900 gli ornitologi americani coinvolgono periodicamente gli appassionati in giornate di osservazione, per contare e censire diverse specie di uccelli, e l’associazione americana di osservatori di stelle variabili lanciò pochi anni dopo un progetto simile, in cui il pubblico era parte attiva nel contare e monitorare, a occhio nudo, questo particolare tipo di stelle e le variazioni della loro luminosità.

Lo sviluppo dei computer negli ultimi decenni ha aperto nuove prospettive di ricerca, accelerando il progresso scientifico in molteplici discipline. Allo stesso tempo, la diffusione dei personal computer, insieme ai potenti strumenti del Web 2.0, ha partorito nuove idee su come coinvolgere il pubblico in entusiasmanti progetti di ricerca.

Galaxy Zoo è uno di questi progetti. Lanciato circa tre anni fa da un gruppo di astronomi britannici e statunitensi, ha lo scopo ambizioso di dare vere immagini astronomiche in mano al pubblico, che a sua volta deve classificare ciò che vi vede.

Le galassie nell’Universo hanno molteplici forme, proprio come gli animali di uno zoo, ma la maggior parte di esse può essere ricondotta a due morfologie principali: galassie a spirale o galassie ellittiche. La classificazione morfologica delle galassie va ben oltre la compilazione di un semplice catalogo, in quanto contiene informazioni sullo stato dinamico delle galassie: nelle spirali, le stelle ruotano intorno al centro in modo ordinato, mentre si muovono in modo molto più caotico in quelle ellittiche. Individuare quali e quante galassie appartengano all’una o all’altra classe, e le loro relative distribuzioni, è di estrema importanza per comprendere come esse si siano formate ed evolute.

Le splendide fotografie di galassie relativamente vicine alla nostra lasciano pochi dubbi a chi le classifica, ma le sottigliezze morfologiche delle galassie più lontane, le cui immagini hanno spesso l’aspetto di piccole macchioline informi, sono molto difficili da individuare. Inoltre, riconoscere forme è ancora uno dei campi in cui il cervello umano è superiore al computer. Alle prese con un milione di immagini di galassie lontane ed apparentemente informi, gli astronomi hanno deciso di rivolgersi al pubblico. Dal Luglio 2007, appassionati e non possono visionare le miriadi di immagini e, tramite un software molto semplice da utilizzare, catalogarle.

Nei primi giorni, 35,000 membri del pubblico avevano già classificato un milione e mezzo di galassie; la stessa galassia viene classificata più volte da diverse persone, per tener conto di possibili errori e incertezze. Una simile impresa sarebbe costata mesi di lavoro (e forse anche qualche diottria!) se fosse stata svolta da un singolo studente. Chiaramente rivolgersi al pubblico non riduce il lavoro degli astronomi, anzi permette loro di concentrarsi sulle fasi successive dell’analisi di un enorme campione di dati. Sono già stati pubblicati almeno una dozzina di articoli su riviste specializzate contenenti risultati basati sul prezioso lavoro compiuto dal pubblico, una schiera di oltre 200,000 persone provenienti da 170 diversi paesi.

La caccia nello zoo delle galassie continua: la versione aggiornata del sito propone ai visitatori una serie di domande per ciascuna immagine. Oltre alla classificazione in ellittiche o spirali, infatti, si può indicare la presenza di altri piccoli dettagli: quanti bracci ha la spirale, se è presente un anello, se può trattarsi di due galassie che si stanno scontrando e fondendo… E le novità non sono solo per il pubblico, ma anche per gli astronomi: sono infatti state aperte apposite posizioni per ricercatori, dedicate al coordinamento del Galaxy Zoo e allo sviluppo di simili progetti per il futuro.

Anche i biologi hanno imparato a sfruttare il ricorso ai “citizen scientists”. Uno dei progetti che ha riscosso maggior successo in questo campo si chiama Fold It (tradotto “Piegala”). Lanciato nel 2008 da una collaborazione di informatici e biochimici della University of Washington, negli Stati Uniti, propone al pubblico un videogioco il cui scopo è disegnare proteine nel modo più efficiente possibile.

Le proteine, elementi portanti del lavoro delle cellule, sono composte da lunghissime catene di componenti più piccole, dette amminoacidi. Esistono 20 tipi diversi di amminoacidi, ma a seconda di come sono disposti nella catena e della forma in cui questa è “piegata”, possono dare luogo a migliaia di proteine diverse. Poiché le proteine possono contenere fino a un migliaio di amminoacidi, il numero di possibili combinazioni e forme è immenso. Ricostruire la forma di molte proteine è uno degli obiettivi più importanti della biologia moderna, che chiaramente richiede enormi risorse e lunghissimi tempi di calcolo anche per i computer più potenti. Il progetto Fold It viene in aiuto, coinvolgendo il pubblico in un gioco che sfrutta la capacità del cervello umano di risolvere puzzle e problemi visivi per ottimizzare le possibili strutture di proteine.

Giocare, aiutare la ricerca e, allo stesso tempo, imparare qualcosa sulla biologia dei nostri corpi o sulla struttura delle galassie nell’universo: è questo il lavoro dei moderni “citizen scientists”.

CLAUDIA MIGNONE

Nelle immagini, l'interfaccia grafica di Galaxy Zoo e Fold It.

giovedì 11 febbraio 2010

In diretta dall'universo

Terre del Cielo: un pianeta oggetto di un webcast inedito

Sabato prossimo, 13 febbraio 2009, il pianeta extra-solare XO-3b transiterà davanti alla stella intorno alla quale ruota. Il fenomeno in sé non ha nulla di spettacolare, in quanto il pianeta in questione completa un'intera orbita alla sua stella madre in meno di quattro giorni. Sul nostro pianeta, invece, l'evento sarà accompagnato da un'iniziativa di divulgazione senza precedenti: per la prima volta, infatti, un telescopio professionale osserverà il transito del pianeta e lo trasmetterà in diretta sul web.

Il progetto si chiama "Terre del Cielo" e prende in prestito il nome dal titolo di un libro di Camille Flammarion, celebre astronomo e divulgatore francese vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Ovviamente le "terre", o pianeti, a cui si riferiva Flammarion nel 1877 erano quelli che ruotano intorno al Sole, gli unici noti all'epoca. Solo al 1995, infatti, risale la scoperta del primo degli oltre 400 pianeti attualmente conosciuti in orbita intorno ad altre stelle.

La maggior parte dei pianeti appartenenti a questo novero, compreso XO-3b, protagonista dell'evento di sabato, sono stati individuati in modo indiretto, ovvero mediante osservazioni degli effetti da essi prodotti sulle proprietà delle rispettive stelle madri. A causa dell'enorme differenza tra l'enorme quantità di luce emessa da una stella e la pochissima luce riflessa da un pianeta, è infatti estremamente difficile osservare direttamente un pianeta extra-solare; quelli immortalati finora si contano sulle dita di una mano.

La tecnica del transito, particolarmente intuitiva, è uno dei metodi indiretti più efficaci per rivelare l'esistenza di un pianeta intorno ad una stella: si basa sul fatto che, quando il pianeta, durante la sua orbita, si trova interposto tra la stella e noi, ne oscura parte della luce. La stella madre risulta quindi meno luminosa del solito, segno distintivo della presenza di uno o più pianeti alla sua corte. Anche se sabato non sarà dunque possibile "vedere" XO-3b mentre passa davanti alla sua stella madre, si potrà ammirare dal vivo la luminosità della stella mentre cala, e poi di nuovo aumenta, durante il transito del pianeta, ovvero quello che gli astronomi chiamano una "curva di luce", per una durata totale di circa tre ore.

La scelta di trasmettere in diretta online proprio la curva di luce, uno degli strumenti effettivamente usati dai ricercatori in questo ambito, è particolarmente felice, in quanto coinvolge il pubblico nell'attività concreta degli astronomi contemporanei, mostrando che non si tratta certo di inguaribili romantici assorti nella contemplazione del firmamento, ma di moderni scienziati che, mediante conti, analisi e grafici di vario genere, cercano di capire ciò che accade nel resto dell'universo.

Il pianeta XO-3b, scoperto nel 2007, è molto diverso dalla Terra, essendo un gigante gassoso con una massa pari a circa 12 volte quella di Giove, il più grande del Sistema Solare. La stella intorno a cui orbita, XO-3, è poco più grande del Sole e si trova a circa 850 anni luce da noi, nella costellazione della Giraffa; per osservare questo astro, troppo debole per essere visibile ad occhio nudo, occorre munirsi di un piccolo telescopio.

A rendere possibile questa inedita diretta sarà il telescopio Ruths dell'Osservatorio di Brera a Merate, in provincia di Milano, dotato di uno specchio di 134 centimetri di diametro, a cui si uniranno anche il telescopio dell'Osservatorio di Palermo e tanti altri, più piccoli telescopi amatoriali. L'evento sarà trasmesso dal vivo sul sito www.crabnebula.it e sarà accompagnato da commenti e spiegazioni di alcuni astronomi in italiano, inglese e cinese. Anche grazie a questo tocco internazionale, gli organizzatori sperano di riuscire a coinvolgere un grande pubblico in questa osservazione "guidata" del passaggio di un altro mondo nel cielo.

CLAUDIA MIGNONE

Nelle immagini, un'illustrazione del transito di un pianeta simile a Giove davanti ad una stella poco più grande del nostro sole (ESO) e un'animazione che mostra come evolve la curva di luce di una stella durante il transito di un pianeta (crabnebula.it).

giovedì 28 gennaio 2010

Che succede?


Questo è il primo giovedì, dopo mesi, senza un nuovo post che racconti l'universo ai lettori di A riveder le stelle... siamo tutti un po' impegnati, ma torneremo presto... e con nuovi progetti in mente!
Continuate a seguirci...

giovedì 21 gennaio 2010

Living Planet: l'ESA si prende cura del nostro pianeta


Uno degli obiettivi principali dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) è sempre stato quello dell'osservazione della Terra dallo spazio. Tale compito è uno dei più immediati ritorni ed utilizzi dell'esplorazione spaziale per la vita quotidiana ed iniziò con il primo satellite meteorologico, Meteosat, nel 1977. A questo fece seguito tutta la serie di satelliti Meteosat ed Envisat che hanno contribuito ad aumentare la nostra comprensione sullo stato di salute della Terra ed hanno portato ad un monitoraggio quotidiano dei cambiamenti climatici ed ambientali durante questi decenni.

La nostra comprensione e conoscenza del nostro stesso pianeta ha, in questo approccio, una fonte inestimabile di dati e misurazioni; inoltre, con il crescere della nostra conoscenza è richiesta anche una contemporanea crescita di accuratezza dei dati da analizzare e dei relativi satelliti che li collezionano. Il programma ESA "Living Planet" è volto proprio in questa direzione. In tale programma rientrano missioni di esplorazione, osservazione, monitoraggio e ricerca meteorologica della Terra. Al momento sono previste sei missioni di questa categoria, mentre altre tre sono in fase di studio.

Le prime due, GOCE e SMOS sono state lanciate nel 2009, rispettivamente a Marzo e Novembre. GOCE è volta ad un’analisi, con accuratezza mai raggiunta, di tutte le deformazioni che allontanano la nostra Terra da una sfera perfetta. Ciò risulta in preziose informazioni anche sul modello del campo gravitazionale, sulla geodesia e sulla fisica dell'interno della Terra. SMOS, invece, è in orbita per raccogliere dati circa l'umidità del suolo e la salinità dell'oceano con lo scopo di migliorare la nostra comprensione del ciclo dell'acqua e contribuire alla previsione dei cambiamenti climatici, compresi quelli estremi e distruttivi, come tornado e cicloni.

Nel febbraio 2010 è previsto il lancio di CryoSat-2. Il suo predecessore, CryoSat-1, non ha mai raggiunto la sua vera orbita a causa dell'esplosione del lanciatore nell’Ottobre 2005. La missione durerà almeno 3 anni ed avrà come scopo quello di monitorare ogni minima variazione spessore del ghiaccio polare con un’accuratezza del centimetro al fine di migliorare la nostra comprensione sull'impatto dei cambiamenti climatici. Il lancio di SWARM è previsto nel 2011; tale missione, a differenza di tutte le precedenti, si compone di una costellazione di 3 satelliti per studiare il campo magnetico ed i suoi cambiamenti, specchio di ciò che accade sotto la crosta del nostro pianeta.

Le ultime due missioni ADM-Aeolus e EarthCARE sono previste per il 2011 e 2013 e sono volte a migliorare i nostri modelli per le previsioni meteo. La prima è mirata, in particolare, allo studio dei venti ed è vista come la prima missione di una serie dedicata a migliorare le misurazioni delle correnti atmosferiche. EarthCARE, invece, è una missione congiunta Europa-Giappone per migliorare i nostri modelli meteorologici numerici.

Stiamo quindi vivendo un periodo di studi ed esplorazioni per capire meglio, magari da un punto di vista un po’ più generale, ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi e prenderci cura di casa nostra.

PIERPAOLO PERGOLA

Nell'immagine in alto sono riassunti i principali obiettivi del programma Living Planet: la superficie della Terra, i processi che avvengono al suo interno, l'oceanografia e la geodesia (ESA). Nell'immagine in basso a destra, una fotografia del nostro pianeta scattata da un satellite in orbita intorno ad esso (NASA).

Dobbiamo raccontare lo spazio

A colloquio con Thales Alenia Space, sponsor dell'Anno Internazionale dell'Astronomia

L’Anno Internazionale dell’Astronomia è stata un’iniziativa globale che ha toccato 148 paesi durante l’intera durata del 2009, portando le scoperte e lo stupore di questa affascinante disciplina scientifica al cospetto del grande pubblico. A finanziare l’ambizioso progetto, fra gli altri sponsor, troviamo Thales Alenia Space, la società franco-italiana leader europea per i sistemi satellitari. Alla cerimonia di chiusura dell’evento, tenutasi a Padova pochi giorni fa, abbiamo incontrato Vincenzo Giorgio, responsabile della linea di business, osservazione ottica e scienza della società.

Cosa ha portato Thales Alenia Space a diventare uno dei tre principali sponsor dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, insieme a Celestron, produttore di telescopi ed elementi ottici, e al canale televisivo satellitare History?

La nostra società è da sempre in prima fila per quanto riguarda la ricerca astronomica. Oltre il 10 percento delle nostre attività, infatti, sono dedicate alla scienza dello spazio. Tra gli esempi più recenti di progetti a cui abbiamo partecipato, ricordiamo i satelliti Planck e Herschel, lanciati nel maggio scorso e dedicati allo studio dell’universo primordiale, e il satellite CoRoT, che circa un anno fa ha annunciato le sue prime scoperte nell’ambito della ricerca di pianeti al di fuori del sistema solare. Chiaramente la nostra parte di ogni progetto si esaurisce con il lancio del satellite, ma siamo ben consapevoli che, dal punto di vista degli astrofisici, quel momento rappresenta solo l’inizio di una lunga serie di nuove ed entusiasmanti scoperte.

L’Anno Internazionale dell’Astronomia, però, non è tanto un’iniziativa rivolta alla comunità scientifica quanto più un insieme di attività di divulgazione e sensibilizzazione del grande pubblico verso le tematiche della ricerca astronomica. Cosa ha spinto Thales Alenia Space a sostenere questo progetto?

Una maggiore consapevolezza dei cittadini circa le problematiche più attuali della ricerca scientifica si traduce in una maggiore disponibilità dei cittadini stessi dinanzi all’investimento di risorse in quegli ambiti. Ciò è vitale per gli scienziati e, al tempo stesso, rappresenta per noi una maggiore domanda, in quanto il mondo scientifico si rivolge a noi per lo sviluppo e la realizzazione di elementi tecnologici all’avanguardia, necessari per spingere sempre più lontano i traguardi della ricerca. Una volta sviluppata ed acquisita, questa tecnologia è disponibile per essere utilizzata in prodotti commerciali, ricadendo di nuovo sulla popolazione. La lista delle conquiste tecnologiche che sono state raggiunte unicamente per soddisfare le esigenze degli scienziati e che sono poi diventate di uso comune è lunghissima e comprende prodotti di ogni genere, tra cui finanche i materiali dei pannolini per bambini, sviluppati inizialmente per gli astronauti nello spazio.

Ricadute sulla società a parte, quali sono i progetti astronomici in cui Thales Alenia Space sarà maggiormente coinvolta nell’immediato futuro?

Siamo direttamente coinvolti in molteplici progetti. Tra i più spettacolari, ricordiamo ALMA, un osservatorio astronomico per osservazioni nelle onde radio, composto da oltre 60 antenne e attualmente in costruzione nel deserto del Cile, ed EXOMARS, una missione che atterrerà su Marte e preleverà campioni di roccia dal sottosuolo del “pianeta rosso” per comprenderne meglio la composizione e trovare eventuali tracce di forme di vita passate e/o presenti. Si tratta di progetti molto lunghi, che durano spesso oltre un decennio. Ma la soddisfazione dinanzi ai risultati ottenuti è sempre un’emozione indimenticabile.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine, i satelliti Planck (a sinistra) e Herschel (a destra), che scrutano l'universo il primo nella banda delle microonde, il secondo nell'infrarosso. Lanciati dall'ESA nel maggio 2009, sono attualmente operativi ad un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Immagine ESA e AOES Medialab.

giovedì 14 gennaio 2010

Oltre l'Anno dell'Astronomia


L'Anno Internazionale dell'Astronomia è giunto alla sua conclusione e, per celebrare i successi ottenuti, astronomi ed organizzatori si sono riuniti lo scorso fine settimana a Padova. Il titolo del convegno di chiusura, Beyond Astronomy 2009, racchiude la speranza che il network messo insieme durante questo lungo anno, fatto di scienziati, appassionati e cittadini di ogni continente, possa propagarsi anche negli anni a venire.

Non è un caso che il convegno sia coinciso con l'esatto anniversario dalle prime, rivoluzionarie osservazioni, da parte di Galileo, dei satelliti di Giove, le cosiddette Lune Medicee, effettuate a partire dal 7 gennaio 1610. Nella stessa aula dove Galileo, quattro secoli fa, aveva insegnato matematica e fisica in quella che era la più libera istituzione universitaria italiana dell'epoca, sono state presentate le iniziative più innovative ed originali di questo progetto che ha visto 148 nazioni della Terra coinvolte nell'organizzazione di eventi per sensibilizzare il pubblico alla riscoperta del cielo.

Le lezioni imparate sono state molteplici, e la maggior parte dei progetti realizzati, sia globalmente che localmente, nell'ambito dell'iniziativa riusciranno a continuare, in forma invariata o leggermente diversa. Uno degli scopi dell'Anno dell'Astronomia era quello di diffondere l'astronomia nei paesi in via di sviluppo, utilizzandola come strumento di motivazione allo studio per i più giovani ma anche facilitandone l'insegnamento a livello scolastico ed accademico. I contributi dei responsabili dell'iniziativa in paesi come Mozambico, Honduras, Egitto, India hanno mostrato che, con enorme dedizione e (purtroppo) limitatissimi fondi, è stato possibile raggiungere diversi risultati significativi.

Per mantenere vivo un network così esteso, forse uno dei più grandi al mondo per quanto riguarda la comunicazione della scienza, occorrono risorse economiche ed impegno costante. Ma lasciar dissolvere i frutti del lavoro seminato durante il 2009 non è all'ordine del giorno. "Speriamo di non dover più organizzare cerimonie di chiusura in futuro," scherza Tommaso Maccararo, presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, durante il suo intervento, augurandosi che non si tratti solo di un anno, ma "del Millennio dell'Astronomia".

CLAUDIA MIGNONE


Nell'immagine, uno dei due cannocchiali originali usati da Galileo, esposto a Padova in occasione del convegno Beyond Astronomy 2009 e solitamente custodito presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze.

giovedì 7 gennaio 2010

Cinque nuovi, invivibili mondi

Ecco i primi pianeti scoperti dal satellite Kepler

Il satellite Kepler, lanciato dalla NASA nel marzo del 2009, inizia a dare i suoi primi frutti. I responsabili della missione spaziale, in cerca di pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare, hanno infatti annunciato le prime scoperte lo scorso lunedì, in occasione del meeting annuale dell’American Astronomical Society, che ha luogo in questi giorni a Washington.

Cinque nuovi pianeti, in orbita intorno a stelle lontane oltre 100 anni luce dal nostro Sole, sono stati individuati durante i primi mesi di osservazioni effettuate da Kepler, e vanno così ad aggiungersi al novero di pianeti extra-solari già scoperti finora, che ammonta ad oltre 400. Grazie a questi progressi, ottenuti soltanto negli ultimi 15 anni, gli astronomi possono comprendere meglio come pianeti, e sistemi planetari come il nostro, si formino intorno alle stelle.

I nuovi mondi scoperti da Kepler sono molto diversi dal nostro pianeta: sono infatti molto più grandi ed estremamente più caldi della Terra. Quattro di loro sono addirittura più grandi di Giove, il più grande dei pianeti alla corte del Sole, e solo uno di essi è leggermente più piccolo, avvicinandosi come dimensioni a un altro gigante del Sistema Solare, Nettuno.


Date le loro elevate temperature, di oltre 1200 gradi, ipotizzare che questi pianeti ospitino forme di vita di tipo “terrestre” è praticamente impossibile. Lo scopo della missione Kepler è tuttavia più ambizioso: nei prossimi tre anni di osservazioni è probabile che gli astronomi riescano ad individuare qualche pianeta simile al nostro, in qualche angolo della nostra Galassia.

Il fatto che i primi pianeti scoperti siano dei giganti è un “inconveniente” del metodo utilizzato per trovarli. Infatti, Kepler si avvale della cosiddetta tecnica del “transito”: quando un pianeta passa davanti alla stella intorno a cui ruota, questa diventa ovviamente meno luminosa, in quanto la sua luce è oscurata da parte del pianeta. Osservando centinaia di migliaia di stelle per lunghi periodi, gli astronomi studiano come le loro luminosità variano e così possono rivelare la presenza di uno o più pianeti intorno ad esse.

Più un pianeta è grande, più marcato sarà il suo oscuramento della stella e, dunque, più facile la sua scoperta. Ma la dimensione non è tutto: anche la distanza dalla stella è molto importante. Tutti questi mondi si trovano estremamente vicini al loro Sole, e per compiere un’intera orbita intorno ad esso impiegano soltanto qualche giorno; in confronto, la Terra impiega un anno e Mercurio, il pianeta più vicino al nostro Sole, impiega circa tre mesi per completare una cosiddetta rivoluzione.

La vicinanza di questi pianeti alla stella che li ospita è quindi un altro fattore che ne facilita la scoperta: orbitando così velocemente intorno ad essa, la oscurano molto spesso, ed è quindi molto probabile che l’oscuramento sia notato dagli astronomi in tempi di osservazione compatibili con quelli umani. Un pianeta che impieghi mesi o anni a completare un’orbita intorno alla propria stella risulta invece elusivo, ma non del tutto impossibile da individuare.

“È solo una questione di tempo,” ha dichiarato Jon Morse, il direttore della Divisione Astrofisica presso il quartier generale della NASA a Washington. “Le prossime osservazioni effettuate con Kepler scopriranno pianeti con orbite sempre più grandi, finché non troveremo finalmente un analogo della Terra.”

Scoprire pianeti situati a distanze “ragionevoli” dalla stella intorno a cui orbitano è un passo cruciale nella ricerca di altri mondi che possano teoricamente ospitare forme di vita. La cosiddetta “zona abitabile” definisce la distanza esatta, intorno ad una stella, in cui la temperatura è tale da garantire l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie di un pianeta. Per il nostro Sole, questa distanza corrisponde all’orbita della Terra: più lontano o più vicino, e la vita “così come la conosciamo” non sarebbe stata possibile.

Nessuno degli oltre 400 pianeti scoperti finora si trova nella “zona abitabile” della propria stella, ma gli astronomi confidano in Kepler e sperano che riuscirà ad individuarne qualcuno nei prossimi anni. Ma la domanda circa l’esistenza di vita nell’universo non si esaurisce nella ricerca di forme viventi simili a quelle presenti sul nostro pianeta. “In altre zone di questo universo, è facile da realizzare, esiste tutto ciò che io non riesco ancora ad immaginare,” cantavano i Bluvertigo una decina di anni fa. Lasciamoci sorprendere dall’inimmaginabile.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine in alto, i cinque nuovi pianeti scoperti dal satellite Kepler e le loro dimensioni, confrontate con quelle di Giove e della Terra; in basso, una rappresenzatione artistica di uno dei cinque, invivibili nuovi mondi. Fonte: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC)