giovedì 28 gennaio 2010

Che succede?


Questo è il primo giovedì, dopo mesi, senza un nuovo post che racconti l'universo ai lettori di A riveder le stelle... siamo tutti un po' impegnati, ma torneremo presto... e con nuovi progetti in mente!
Continuate a seguirci...

giovedì 21 gennaio 2010

Living Planet: l'ESA si prende cura del nostro pianeta


Uno degli obiettivi principali dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) è sempre stato quello dell'osservazione della Terra dallo spazio. Tale compito è uno dei più immediati ritorni ed utilizzi dell'esplorazione spaziale per la vita quotidiana ed iniziò con il primo satellite meteorologico, Meteosat, nel 1977. A questo fece seguito tutta la serie di satelliti Meteosat ed Envisat che hanno contribuito ad aumentare la nostra comprensione sullo stato di salute della Terra ed hanno portato ad un monitoraggio quotidiano dei cambiamenti climatici ed ambientali durante questi decenni.

La nostra comprensione e conoscenza del nostro stesso pianeta ha, in questo approccio, una fonte inestimabile di dati e misurazioni; inoltre, con il crescere della nostra conoscenza è richiesta anche una contemporanea crescita di accuratezza dei dati da analizzare e dei relativi satelliti che li collezionano. Il programma ESA "Living Planet" è volto proprio in questa direzione. In tale programma rientrano missioni di esplorazione, osservazione, monitoraggio e ricerca meteorologica della Terra. Al momento sono previste sei missioni di questa categoria, mentre altre tre sono in fase di studio.

Le prime due, GOCE e SMOS sono state lanciate nel 2009, rispettivamente a Marzo e Novembre. GOCE è volta ad un’analisi, con accuratezza mai raggiunta, di tutte le deformazioni che allontanano la nostra Terra da una sfera perfetta. Ciò risulta in preziose informazioni anche sul modello del campo gravitazionale, sulla geodesia e sulla fisica dell'interno della Terra. SMOS, invece, è in orbita per raccogliere dati circa l'umidità del suolo e la salinità dell'oceano con lo scopo di migliorare la nostra comprensione del ciclo dell'acqua e contribuire alla previsione dei cambiamenti climatici, compresi quelli estremi e distruttivi, come tornado e cicloni.

Nel febbraio 2010 è previsto il lancio di CryoSat-2. Il suo predecessore, CryoSat-1, non ha mai raggiunto la sua vera orbita a causa dell'esplosione del lanciatore nell’Ottobre 2005. La missione durerà almeno 3 anni ed avrà come scopo quello di monitorare ogni minima variazione spessore del ghiaccio polare con un’accuratezza del centimetro al fine di migliorare la nostra comprensione sull'impatto dei cambiamenti climatici. Il lancio di SWARM è previsto nel 2011; tale missione, a differenza di tutte le precedenti, si compone di una costellazione di 3 satelliti per studiare il campo magnetico ed i suoi cambiamenti, specchio di ciò che accade sotto la crosta del nostro pianeta.

Le ultime due missioni ADM-Aeolus e EarthCARE sono previste per il 2011 e 2013 e sono volte a migliorare i nostri modelli per le previsioni meteo. La prima è mirata, in particolare, allo studio dei venti ed è vista come la prima missione di una serie dedicata a migliorare le misurazioni delle correnti atmosferiche. EarthCARE, invece, è una missione congiunta Europa-Giappone per migliorare i nostri modelli meteorologici numerici.

Stiamo quindi vivendo un periodo di studi ed esplorazioni per capire meglio, magari da un punto di vista un po’ più generale, ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi e prenderci cura di casa nostra.

PIERPAOLO PERGOLA

Nell'immagine in alto sono riassunti i principali obiettivi del programma Living Planet: la superficie della Terra, i processi che avvengono al suo interno, l'oceanografia e la geodesia (ESA). Nell'immagine in basso a destra, una fotografia del nostro pianeta scattata da un satellite in orbita intorno ad esso (NASA).

Dobbiamo raccontare lo spazio

A colloquio con Thales Alenia Space, sponsor dell'Anno Internazionale dell'Astronomia

L’Anno Internazionale dell’Astronomia è stata un’iniziativa globale che ha toccato 148 paesi durante l’intera durata del 2009, portando le scoperte e lo stupore di questa affascinante disciplina scientifica al cospetto del grande pubblico. A finanziare l’ambizioso progetto, fra gli altri sponsor, troviamo Thales Alenia Space, la società franco-italiana leader europea per i sistemi satellitari. Alla cerimonia di chiusura dell’evento, tenutasi a Padova pochi giorni fa, abbiamo incontrato Vincenzo Giorgio, responsabile della linea di business, osservazione ottica e scienza della società.

Cosa ha portato Thales Alenia Space a diventare uno dei tre principali sponsor dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, insieme a Celestron, produttore di telescopi ed elementi ottici, e al canale televisivo satellitare History?

La nostra società è da sempre in prima fila per quanto riguarda la ricerca astronomica. Oltre il 10 percento delle nostre attività, infatti, sono dedicate alla scienza dello spazio. Tra gli esempi più recenti di progetti a cui abbiamo partecipato, ricordiamo i satelliti Planck e Herschel, lanciati nel maggio scorso e dedicati allo studio dell’universo primordiale, e il satellite CoRoT, che circa un anno fa ha annunciato le sue prime scoperte nell’ambito della ricerca di pianeti al di fuori del sistema solare. Chiaramente la nostra parte di ogni progetto si esaurisce con il lancio del satellite, ma siamo ben consapevoli che, dal punto di vista degli astrofisici, quel momento rappresenta solo l’inizio di una lunga serie di nuove ed entusiasmanti scoperte.

L’Anno Internazionale dell’Astronomia, però, non è tanto un’iniziativa rivolta alla comunità scientifica quanto più un insieme di attività di divulgazione e sensibilizzazione del grande pubblico verso le tematiche della ricerca astronomica. Cosa ha spinto Thales Alenia Space a sostenere questo progetto?

Una maggiore consapevolezza dei cittadini circa le problematiche più attuali della ricerca scientifica si traduce in una maggiore disponibilità dei cittadini stessi dinanzi all’investimento di risorse in quegli ambiti. Ciò è vitale per gli scienziati e, al tempo stesso, rappresenta per noi una maggiore domanda, in quanto il mondo scientifico si rivolge a noi per lo sviluppo e la realizzazione di elementi tecnologici all’avanguardia, necessari per spingere sempre più lontano i traguardi della ricerca. Una volta sviluppata ed acquisita, questa tecnologia è disponibile per essere utilizzata in prodotti commerciali, ricadendo di nuovo sulla popolazione. La lista delle conquiste tecnologiche che sono state raggiunte unicamente per soddisfare le esigenze degli scienziati e che sono poi diventate di uso comune è lunghissima e comprende prodotti di ogni genere, tra cui finanche i materiali dei pannolini per bambini, sviluppati inizialmente per gli astronauti nello spazio.

Ricadute sulla società a parte, quali sono i progetti astronomici in cui Thales Alenia Space sarà maggiormente coinvolta nell’immediato futuro?

Siamo direttamente coinvolti in molteplici progetti. Tra i più spettacolari, ricordiamo ALMA, un osservatorio astronomico per osservazioni nelle onde radio, composto da oltre 60 antenne e attualmente in costruzione nel deserto del Cile, ed EXOMARS, una missione che atterrerà su Marte e preleverà campioni di roccia dal sottosuolo del “pianeta rosso” per comprenderne meglio la composizione e trovare eventuali tracce di forme di vita passate e/o presenti. Si tratta di progetti molto lunghi, che durano spesso oltre un decennio. Ma la soddisfazione dinanzi ai risultati ottenuti è sempre un’emozione indimenticabile.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine, i satelliti Planck (a sinistra) e Herschel (a destra), che scrutano l'universo il primo nella banda delle microonde, il secondo nell'infrarosso. Lanciati dall'ESA nel maggio 2009, sono attualmente operativi ad un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Immagine ESA e AOES Medialab.

giovedì 14 gennaio 2010

Oltre l'Anno dell'Astronomia


L'Anno Internazionale dell'Astronomia è giunto alla sua conclusione e, per celebrare i successi ottenuti, astronomi ed organizzatori si sono riuniti lo scorso fine settimana a Padova. Il titolo del convegno di chiusura, Beyond Astronomy 2009, racchiude la speranza che il network messo insieme durante questo lungo anno, fatto di scienziati, appassionati e cittadini di ogni continente, possa propagarsi anche negli anni a venire.

Non è un caso che il convegno sia coinciso con l'esatto anniversario dalle prime, rivoluzionarie osservazioni, da parte di Galileo, dei satelliti di Giove, le cosiddette Lune Medicee, effettuate a partire dal 7 gennaio 1610. Nella stessa aula dove Galileo, quattro secoli fa, aveva insegnato matematica e fisica in quella che era la più libera istituzione universitaria italiana dell'epoca, sono state presentate le iniziative più innovative ed originali di questo progetto che ha visto 148 nazioni della Terra coinvolte nell'organizzazione di eventi per sensibilizzare il pubblico alla riscoperta del cielo.

Le lezioni imparate sono state molteplici, e la maggior parte dei progetti realizzati, sia globalmente che localmente, nell'ambito dell'iniziativa riusciranno a continuare, in forma invariata o leggermente diversa. Uno degli scopi dell'Anno dell'Astronomia era quello di diffondere l'astronomia nei paesi in via di sviluppo, utilizzandola come strumento di motivazione allo studio per i più giovani ma anche facilitandone l'insegnamento a livello scolastico ed accademico. I contributi dei responsabili dell'iniziativa in paesi come Mozambico, Honduras, Egitto, India hanno mostrato che, con enorme dedizione e (purtroppo) limitatissimi fondi, è stato possibile raggiungere diversi risultati significativi.

Per mantenere vivo un network così esteso, forse uno dei più grandi al mondo per quanto riguarda la comunicazione della scienza, occorrono risorse economiche ed impegno costante. Ma lasciar dissolvere i frutti del lavoro seminato durante il 2009 non è all'ordine del giorno. "Speriamo di non dover più organizzare cerimonie di chiusura in futuro," scherza Tommaso Maccararo, presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, durante il suo intervento, augurandosi che non si tratti solo di un anno, ma "del Millennio dell'Astronomia".

CLAUDIA MIGNONE


Nell'immagine, uno dei due cannocchiali originali usati da Galileo, esposto a Padova in occasione del convegno Beyond Astronomy 2009 e solitamente custodito presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze.

giovedì 7 gennaio 2010

Cinque nuovi, invivibili mondi

Ecco i primi pianeti scoperti dal satellite Kepler

Il satellite Kepler, lanciato dalla NASA nel marzo del 2009, inizia a dare i suoi primi frutti. I responsabili della missione spaziale, in cerca di pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare, hanno infatti annunciato le prime scoperte lo scorso lunedì, in occasione del meeting annuale dell’American Astronomical Society, che ha luogo in questi giorni a Washington.

Cinque nuovi pianeti, in orbita intorno a stelle lontane oltre 100 anni luce dal nostro Sole, sono stati individuati durante i primi mesi di osservazioni effettuate da Kepler, e vanno così ad aggiungersi al novero di pianeti extra-solari già scoperti finora, che ammonta ad oltre 400. Grazie a questi progressi, ottenuti soltanto negli ultimi 15 anni, gli astronomi possono comprendere meglio come pianeti, e sistemi planetari come il nostro, si formino intorno alle stelle.

I nuovi mondi scoperti da Kepler sono molto diversi dal nostro pianeta: sono infatti molto più grandi ed estremamente più caldi della Terra. Quattro di loro sono addirittura più grandi di Giove, il più grande dei pianeti alla corte del Sole, e solo uno di essi è leggermente più piccolo, avvicinandosi come dimensioni a un altro gigante del Sistema Solare, Nettuno.


Date le loro elevate temperature, di oltre 1200 gradi, ipotizzare che questi pianeti ospitino forme di vita di tipo “terrestre” è praticamente impossibile. Lo scopo della missione Kepler è tuttavia più ambizioso: nei prossimi tre anni di osservazioni è probabile che gli astronomi riescano ad individuare qualche pianeta simile al nostro, in qualche angolo della nostra Galassia.

Il fatto che i primi pianeti scoperti siano dei giganti è un “inconveniente” del metodo utilizzato per trovarli. Infatti, Kepler si avvale della cosiddetta tecnica del “transito”: quando un pianeta passa davanti alla stella intorno a cui ruota, questa diventa ovviamente meno luminosa, in quanto la sua luce è oscurata da parte del pianeta. Osservando centinaia di migliaia di stelle per lunghi periodi, gli astronomi studiano come le loro luminosità variano e così possono rivelare la presenza di uno o più pianeti intorno ad esse.

Più un pianeta è grande, più marcato sarà il suo oscuramento della stella e, dunque, più facile la sua scoperta. Ma la dimensione non è tutto: anche la distanza dalla stella è molto importante. Tutti questi mondi si trovano estremamente vicini al loro Sole, e per compiere un’intera orbita intorno ad esso impiegano soltanto qualche giorno; in confronto, la Terra impiega un anno e Mercurio, il pianeta più vicino al nostro Sole, impiega circa tre mesi per completare una cosiddetta rivoluzione.

La vicinanza di questi pianeti alla stella che li ospita è quindi un altro fattore che ne facilita la scoperta: orbitando così velocemente intorno ad essa, la oscurano molto spesso, ed è quindi molto probabile che l’oscuramento sia notato dagli astronomi in tempi di osservazione compatibili con quelli umani. Un pianeta che impieghi mesi o anni a completare un’orbita intorno alla propria stella risulta invece elusivo, ma non del tutto impossibile da individuare.

“È solo una questione di tempo,” ha dichiarato Jon Morse, il direttore della Divisione Astrofisica presso il quartier generale della NASA a Washington. “Le prossime osservazioni effettuate con Kepler scopriranno pianeti con orbite sempre più grandi, finché non troveremo finalmente un analogo della Terra.”

Scoprire pianeti situati a distanze “ragionevoli” dalla stella intorno a cui orbitano è un passo cruciale nella ricerca di altri mondi che possano teoricamente ospitare forme di vita. La cosiddetta “zona abitabile” definisce la distanza esatta, intorno ad una stella, in cui la temperatura è tale da garantire l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie di un pianeta. Per il nostro Sole, questa distanza corrisponde all’orbita della Terra: più lontano o più vicino, e la vita “così come la conosciamo” non sarebbe stata possibile.

Nessuno degli oltre 400 pianeti scoperti finora si trova nella “zona abitabile” della propria stella, ma gli astronomi confidano in Kepler e sperano che riuscirà ad individuarne qualcuno nei prossimi anni. Ma la domanda circa l’esistenza di vita nell’universo non si esaurisce nella ricerca di forme viventi simili a quelle presenti sul nostro pianeta. “In altre zone di questo universo, è facile da realizzare, esiste tutto ciò che io non riesco ancora ad immaginare,” cantavano i Bluvertigo una decina di anni fa. Lasciamoci sorprendere dall’inimmaginabile.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine in alto, i cinque nuovi pianeti scoperti dal satellite Kepler e le loro dimensioni, confrontate con quelle di Giove e della Terra; in basso, una rappresenzatione artistica di uno dei cinque, invivibili nuovi mondi. Fonte: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC)