giovedì 28 maggio 2009

Attenzione: telescopio a bordo!


Nell’immaginario comune un osservatorio astronomico è un grosso edificio con una cupola, che contiene un imponente telescopio ed è generalmente situato in luoghi esotici, quali altopiani desertici o isole vulcaniche. Negli ultimi decenni la tecnologia aerospaziale ha permesso di posizionare alcuni osservatori anche fuori dalla nostra atmosfera, su satelliti in orbita intorno alla terra, con innumerevoli vantaggi per gli astronomi che possono usufruirne. Mandare un telescopio in orbita è tuttavia un’impresa delicatissima ed estremamente costosa. A metà tra la terra e lo spazio, esiste però un altro possibile sito per le osservazioni astronomiche: a bordo di un aereo in volo nella stratosfera.

L’atmosfera del nostro pianeta nuoce all’astronomia in più di un modo: oltre a rendere le immagini sfocate a causa della turbolenza, questa assorbe gran parte della luce che arriva dall’universo sulla terra. Quella che siamo abituati a percepire con i nostri occhi, la “luce visibile”, con l’arcobaleno di colori dal rosso al verde, fino al blu e al violetto, non è altro che una piccolissima porzione dello spettro elettromagnetico. Anche se non percepiamo con i nostri occhi i raggi luminosi più energetici (ad esempio la luce ultravioletta, i raggi X e gamma) né quelli meno energetici (ad esempio la luce infrarossa, le microonde e le onde radio) non vi è alcuna differenza sostanziale tra essi e la luce visibile.

Solo la luce visibile e le onde radio riescono a passare attraverso la nostra atmosfera. Le sorgenti astronomiche, tuttavia, emettono radiazione a tutte le energie, quindi in tutto lo spettro, a seconda delle loro caratteristiche. In particolare, oggetti “freddi” come le stelle in formazione, la polvere interstellare, i pianeti e i piccoli corpi del sistema solare, emettono radiazione a basse energie, nell’infrarosso. Una piccola parte di radiazione infrarossa penetra l’atmosfera e può essere studiata con i telescopi sulla Terra, ma in generale conviene osservarla dallo spazio: a completare l’opera dei satelliti Spitzer, in orbita dal 2003, e Herschel, lanciato un paio di settimane fa, presto sarà operativo anche SOFIA, un telescopio a bordo di un aeroplano.

SOFIA, il cui nome sta per Stratospheric Observatory For Infrared Astronomy (Osservatorio stratosferico per l’astronomia infrarossa), è un progetto in collaborazione tra la NASA e la DLR, l’agenzia spaziale tedesca. Si tratta di un telescopio di 2,5 metri di diametro montato su un Boeing 747 SP, modificato in modo da avere un’apertura di 4x6 metri nella fusoliera esterna, da cui verranno effettuate le osservazioni. Al momento sono in corso gli ultimi test del velivolo presso il Dryden Flight Research Center della NASA a Palmdale, California; oggetto di particolare studio è l’effetto del carico del telescopio, che pesa 17 tonnellate, durante il volo. SOFIA inizierà ad operare verso la fine del 2009: eseguirà circa 140 voli all’anno, ciascuno con 8 ore di osservazione, a 12,000 metri di quota. La durata prevista dell’esperimento è di 20 anni, durante i quali le nostre conoscenze su alcune regioni dell’universo potrebbero cambiare drasticamente

CLAUDIA MIGNONE


L'osservatorio SOFIA, a bordo di un Boeing 747 SP modificato: ben evidente è l'apertura nella fusoliera esterna per rendere possibili le operazioni del telescopio. SOFIA si trova attualmente presso la Dryden Aircraft Operations Facility della NASA a Palmdale, California (USA) insieme ad altri velivoli che ospiteranno esperimenti dedicati allo studio dell'ambiente, dell'inquinamento, dell'effetto serra e dell'attività vulcanica. (Immagine: NASA/Tom Tschida)

giovedì 21 maggio 2009

Più luminosi delle stelle: i Quasar


Le regioni interne delle stelle più massicce forniscono le condizioni ideali di pressione e densità necessarie alla formazione dei buchi neri, in particolare durante le ultime convulse fasi della loro vita; tuttavia oggi gli scienziati ipotizzano altri meccanismi per la formazione dei buchi neri, cosicché ci aspettiamo che questi oggetti possano avere un’ampia varietà di possibili masse, da oggetti relativamente piccoli ad altri (detti super-massicci) di massa enorme.

Sono proprio questi ultimi ad essere responsabili di uno dei fenomeni astronomici più interessanti, i "quasar". Questi oggetti prendono il loro nome dal loro aspetto puntiforme, simile ad una stella (QUASi-stAR), tuttavia ad una analisi più approfondita, mostrano caratteristiche molto diverse. Per molto tempo il dibattito si e' acceso sulla loro natura e sul fatto che potessero essere situati nella nostra galassia oppure in galassie esterne. Con il passare del tempo, sempre più dati si sono accumulati in favore della loro natura extra-galattica. Questo tuttavia veniva ad aprire un problema del tutto nuovo: se la luce dei quasar proviene da distanze cosmologiche, allora la loro luminosità intrinseca deve essere enorme, al punto da sovrastare (o quantomeno competere con) la luce di tutte le stelle delle galassie che li ospitano. Ci si può chiedere dunque quale sia la natura del meccanismo che genera tale enorme emissione di energia.

La teoria della relatività sviluppata da A. Einstein ci fornisce la chiave per interpretare questo fenomeno: la famosa equazione E=mc^2 ci dice infatti che a partire da una piccola (in termini astronomici) quantità di massa possiamo generare una significativa quantità di energia. Tuttavia per poter convertire abbastanza massa in energia da rendere conto della luminosità dei quasar abbiamo bisogno di adeguate condizioni fisiche che l'ambiente circostante un buco nero super-massiccio, con la sua forza di gravità estrema, ci può fornire. I quasar sono quindi dovuti ad un buco nero che accresce gas: la diversa luminosità dei quasar è legata al loro diverso tasso di accrescimento. Ci aspettiamo che il gas accresciuto si trovi in una riserva la cui forma dovrebbe essere toroidale (cioè una ciambella) per spiegare le proprietà delle diverse classi osservative in cui sono classificati i quasar.

Una importante conferma a questo quadro teorico è venuta dalla dimostrazione della presenza di un buco nero di queste caratteristiche prima al centro della nostra galassia e poi, via via, al centro di altre galassie, abbastanza vicine alla nostra. E' interessante notare che uno scenario alternativo, basato sulla presenza al centro di queste galassie di un ammasso di stelle molto luminose, porta comunque ad una simile conclusione. La massa in stelle necessaria a spiegare le caratteristiche della radiazione osservata dovrebbe essere confinata in una regione così piccola, da dover necessariamente portare velocemente alla generazione di un buco nero super-massiccio.

FABIO FONTANOT

Immagine: Rappresentazione artistica di un buco nero supermassiccio, con il toro di polvere che oscura (in parte) il disco di accrescimento, e due getti simmetrici di materia espulsa dal disco. (ESA/NASA, AVO e Paolo Padovani)

giovedì 14 maggio 2009

Una nuova era per la cosmologia

Intervista a una ricercatrice napoletana sul lancio del satellite Planck

Alle ore 15:12 di oggi, sarà lanciato il satellite Planck: questo ambizioso esperimento scruterà il cielo nella banda delle microonde, dove è possibile osservare la radiazione cosmica di fondo. È tutto pronto nella base dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) a Kourou, nella Guyana Francese, da dove avverrà il lancio del vettore Ariane 5; a bordo, insieme a Planck, ci sarà anche Herschel, il telescopio più grande mai lanciato nello spazio, che osserverà il cielo nella banda infrarossa, alla ricerca delle stelle e galassie più vecchie dell'universo. Astronomi e fisici in tutto il mondo assisteranno con trepidazione agli eventi in diretta da Kourou. Tra loro, Valeria Pettorino, una giovane fisica napoletana attualmente ricercatrice presso l'Istituto di Fisica Teorica dell'Università di Heidelberg, Germania - uno dei tanti scienziati italiani che lavorano all'estero.

Cosa rappresenta il lancio di Planck per chi, come lei, lavora da anni su teorie che possono trovare o meno conferma nelle sue osservazioni?
Il lancio del satellite Planck è uno degli eventi più attesi dalla comunità di astrofisici e cosmologi di tutto il mondo. Se la missione avrà successo, avremo una foto dell'universo appena nato, potremo vedere la luce emessa nell'universo circa 13 miliardi di anni fa.

Non si tratta però del primo esperimento che osserverà questa luce. Perché Planck è così importante?
La radiazione cosmica a microonde è stata in realtà osservata per la prima volta nel 1965 e successivamente da altre missioni, ma Planck riuscirà a darci una foto nitidissima delle sue anisotropie (differenze di temperatura quando osserviamo in direzioni diverse), con una risoluzione che ci consentirà di capire meglio qual è il contenuto dell'universo e come l'universo è evoluto. Potremo finalmente avere nuovi dati che avvaloreranno o meno una o più fra le tante teorie che ancora possono descrivere il contenuto dell'universo.

Dunque impareremo qualcosa sulla materia e l'energia oscura?
Certo: la luce osservata ci darà informazioni sulla materia che ha incontrato durante il tragitto, dall'emissione alla sua osservazione, e quindi su come le galassie si sono formate e sulle proprietà di quel 95% di energia dell'universo (20% di materia oscura e 75% di energia oscura) che sappiamo esiste ma la cui natura è tutt'ora non chiara. Personalmente, questi sono proprio gli argomenti sui quali lavoro da vari anni, come fisica teorica: si elaborano modelli che poi vanno confermati o meno grazie agli esperimenti. Finalmente ho la possibilità di vedere più da vicino come evolve la scienza, dal vivo, grazie ad un'opera di altissima tecnologia quale è Planck, inventata dagli uomini per raggiungere un obiettivo concreto e comune.

Sì, ma quindi a cosa serve praticamente?
Si dice che Euclide ricevette una volta una domanda simile da un suo studente, il quale gli chiedeva a cosa servisse la teoria dei numeri; ed Euclide, rivolgendosi al suo schiavo disse "dai una moneta" a questo studente che cerca un vantaggio materiale in ogni cosa; poi lo espulse. Senza essere così drammatici, e premettendo che la conoscenza di quello che ci circonda è di per se' inestimabile, voglio ricordare che nella scienza non si può mai sapere in anticipo con esattezza quali potranno essere le applicazioni dei propri studi; le possibilità sono così varie e inattese che c'è solo da lavorarci, con impegno e molta fantasia, per trovarne di nuove.

Non dimentichiamo che Planck rappresenta anche una grande impresa tecnologica...
Infatti. Planck, che da solo pesa circa due tonnellate contiene, oltre ad un telescopio, decine di rivelatori che devono poter funzionare a temperature prossime allo zero assoluto, tra i -253 e i -272.9 gradi, richiedendo quindi un sistema sofisticatissimo di raffreddamento. La cosa più affascinante e talvolta trascurata è che persino se il satellite non partisse, la sua sola progettazione e costruzione è ad oggi un enorme successo già acquisito. Bisogna tener conto che questo tipo di esperimenti coinvolge una vastissima comunità scientifica internazionale: da anni fisici, ingegneri, industrie, stanno lavorando e cooperando insieme per poter costruire il satellite e per comprenderne tutte le potenzialità. Da un lato, la progettazione di Planck ha già consentito di sviluppare nuove tecnologie, ideate per Planck ma utilizzabili per altre applicazioni. Dall'altro ha già permesso alla comunità scientifica di studiare più a fondo svariati aspetti legati sia all'evoluzione dell'universo che all'analisi dei dati, per poter stabilire dove è meglio guardare, a quali frequenze, da quale posizione, per quanto tempo.

CLAUDIA MIGNONE

Immagine: Il vettore Ariane 5, con a bordo i telescopi Planck e Herschel, pronto per il lancio nella base di Kourou, nella Guyana Francese. (ESA - S. Corvaja, 2009)

Planck e la radiazione cosmica di fondo


Il satellite europeo PLANCK osserverà il cielo nelle lunghezze d’onda delle microonde: perché si tratta di una missione così importante? Perché, misurando le fluttuazioni nella distribuzione della materia oscura solo 300.000 anni dopo il Big Bang, consentirà agli scienziati di comprendere meglio quali, fra i vari possibili modelli, spiegano la formazione delle galassie.

Queste fluttuazioni si possono osservare sotto forma di piccolissime variazioni nella temperatura media del cielo, che corrisponde a circa 3 gradi Kelvin (ovvero -270 gradi centigradi, appena 3 gradi sopra lo zero assoluto), e sono state generate quando si sono formati i primi atomi nella storia del cosmo. A partire da queste fluttuazioni iniziali, grazie alla forza di gravità sono stati assemblati oggetti sempre più grandi, fino alla formazione delle galassie e degli ammassi di galassie. L’ampiezza di queste fluttuazioni iniziali e la densità della materia sono alcuni dei principali parametri cosmologici che PLANCK sarà in grado di misurare.

Un altro obiettivo scientifico della missione sono le cosiddette anisotropie secondarie: si tratta di ulteriori fluttuazioni nella temperatura del cielo, prodotte dall’interazione dei fotoni della radiazione di fondo con la distribuzione su grande scala delle galassie, attraverso la quale i fotoni viaggiano prima di arrivare fino a noi. Ci sono due categorie principali di interazioni: da una parte l’effetto di lente gravitazionale, che può essere utilizzato per misurare in modo ancor più preciso alcuni parametri cosmologici, e dall’altra l’effetto Compton, dovuto all’interazione dei fotoni con gli elettroni che si trovano nel gas caldo all’interno degli ammassi di galassie, e che rappresenta un nuovo possibile metodo per individuare gli ammassi di galassie.

Il vantaggio di PLANCK rispetto ad analoghi esperimenti precedenti è rappresentato dalla sua elevatissima sensibilità - potrà infatti misurare fluttuazioni di qualche milionesimo di grado in temperatura - e dalla sua risoluzione angolare, migliore di un decimo di grado. Il satellite osserverà dal punto Lagrangiano L2, situato a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, ovvero 5 volte la distanza media Terra-Luna.

L'équipe scientifica di PLANCK è formata da circa 500 scienziati, che aspettano tutti con ansia il lancio del satellite, che avverrà il 14 Maggio 2009, dopo 15 anni di preparativi.

BJOERN MALTE SCHAEFER



La mappa del cielo a microonde come l'ha osservato il satellite WMAP della NASA, lanciato nel 2001. I diversi colori rappresentano le piccolissime fluttuazioni in temperatura: la differenza tra i punti blu e rossi è di appena 0.0002 gradi. PLANCK sarà in grado di ottenere mappe ancora più precise. (Immagine: NASA/WMAP team)

giovedì 7 maggio 2009

Le lenti gravitazionali


Contrariamente a quello che l'intuito ci suggerisce, la luce emessa da una sorgente non viaggia sempre esattamente in linea retta dal punto in cui è stata generata fino a noi. Infatti, su scale astronomiche, la traiettoria dei raggi luminosi può essere deviata quando essi passano relativamente vicino ad un corpo celeste veramente massiccio. Questo concetto è conosciuto come effetto di lente gravitazionale e venne formulato scientificamente per la prima volta da Einstein quasi cento anni fa. Da allora si sono ottenute diverse conferme tramite osservazioni astronomiche alcune delle quali particolarmente spettacolari.

L'immagine qui di fianco mostra un ammasso di galassie (Abell 2218) osservato dal telescopio spaziale Hubble. Grazie alla superba definizione di questa immagine, si possono notare diversi oggetti luminosi aventi forma d'arco. Si tratta di galassie i cui raggi luminosi hanno subito una drastica deviazione rispetto alla consueta traiettoria rettilinea e quindi la loro immagine non risulta ellitica come di consueto ma distorta in forma d'arco. Ciò è dovuto non solo all'enorme massa del corpo che funge da lente (l'ammasso) ma anche alla configurazione geometrica tra la lente gravitazionale e la galassia la cui immagine risulta distorta.

In gergo, si chiama regime di lente forte la zona in cui avvengono considerevoli deviazioni dei raggi luminosi (ad esempio dove si trovano gli archi). Mentre si usa il termine regime di lente debole nelle zone in cui si riesce a provocare solo una leggera deviazione della luce (per esempio la parte esterna della foto) dove le immagini delle galassie sono distorte lo stesso, ma non in modo così spettacolare. Uno degli aspetti più interessanti dello studio delle lenti gravitazionali (sia nel regime debole che nel regime forte) è che possono essere usate per studiare la materia nell'universo.

In particolare, le lenti gravitazionali sembrano supportare l'idea che l'universo sia pervaso di materia oscura ovvero di materia che non emette radiazione luminosa ma che, avendo massa, interagisce gravitazionalmente. Tale interazione, dando origine a distorsioni come quelle appena descritte, consente di rilevare indirettamente la presenza di materia oscura. Sebbene essa non sia mai stata osservata direttamente, la sua esistenza fa ormai parte del modello cosmologico standard (in cui l'origine ed evoluzione dell'universo sono spiegati usando la teoria della relatività di Einstein). Lo studio delle lenti gravitazionali viene continuamente usato da astronomi e astrofisici il cui interesse è di verificare la validità di tale modello o di definirne i dettagli.

MARCELLO CACCIATO