giovedì 19 novembre 2009

Gli oscuri ammassi di galassie


Le galassie nell’universo tendono a stare in compagnia: gli astronomi se ne accorsero già negli anni Trenta, analizzando le lastre fotografiche realizzate presso quelli che all’epoca erano i più potenti osservatori del mondo. Riconoscere gli “agglomerati” di galassie in un’immagine a due dimensioni non è banale: spesso, infatti, due o più galassie appaiono vicine soltanto per un effetto di proiezione, che le fa cadere nello stesso punto della volta celeste benché siano in realtà lontanissime fra loro. In altri casi, invece, si tratta di galassie fisicamente vicine, che sentono l’una l’attrazione gravitazionale dell’altra: a seconda del numero di oggetti coinvolti, gli astronomi parlano di gruppi (qualche decina) o di ammassi (fino a qualche migliaio) di galassie.

Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture, nell’universo, ad essere tenute insieme dalla forza di gravità. Si estendono fino a decine di milioni di anni-luce e hanno una massa che può arrivare a qualche milione di miliardo di volte quella del Sole. Eppure di questa massa le galassie rappresentano meno del dieci percento! Gli astronomi continuano a chiamarli ammassi di galassie per motivi storici, ma, come si è scoperto in seguito, le componenti principali di questi giganti cosmici sono il gas, caldissima mistura di elettroni e protoni ad una temperatura di almeno dieci milioni di gradi, che emette raggi X, e la materia oscura, che non emette luce e non può quindi essere osservata, ma la cui presenza si può intuire indirettamente.

Isolare i contributi dovuti a galassie e gas è relativamente semplice: le prime si possono osservare con i tradizionali telescopi ottici, il secondo grazie ai satelliti che operano nella banda dei raggi X. La materia oscura, invece, rappresenta invece un argomento delicato e, in alcuni ambienti, ancora controverso.

La massa totale di un ammasso si può studiare mediante l’effetto di lente gravitazionale, o lensing gravitazionale, che esso esercita sulle galassie lontane, situate “dietro” l’ammasso: la loro forma viene distorta in un modo caratteristico, descritto dalla teoria della relatività generale di Einstein, che dipende dalla quantità totale di materia contenuta nell’ammasso. Molti astrofisici, ma non tutti, ritengono che gli ammassi siano dominati da questa elusiva materia oscura, e ad essa attribuiscono la massa totale ricostruita tramite il lensing gravitazionale.


Nel 2006, un oggetto molto particolare ha fatto luce su questi oscuri argomenti: il “Bullet Cluster” (dall’inglese, Ammasso Proiettile). Si tratta in realtà di due ammassi che si sono “recentemente” scontrati: la “nube” di gas nell’ammasso di destra (il proiettile) ha infatti la tipica forma di un’onda d’urto, forgiata dalla collisione con l’altro. Il gas ha subito un rallentamento durante lo scontro, una sorta di “attrito” che lo ha separato sia dalle galassie che dalle regioni dove invece si trova la maggior parte della materia dei due ammassi così com'è stata “individuata” dagli studi di lensing gravitazionale. Questa separazione mostra che la maggior parte della materia ha interagito con il gas solo mediante la gravità. L’aspetto di questi “rottami” cosmici è dunque interpretato come evidenza dell’esistenza della materia oscura.

CLAUDIA MIGNONE

In questa immagine del “Bullet Cluster” le osservazioni delle galassie (in bianco/giallo) e del gas (in rosa) sono affiancate alla ricostruzione della massa realizzata attraverso il lensing gravitazionale (in blu). Immagine di NASA/CXC/CfA/M.Markevitch et al. (osservazioni X); NASA/STScI, Magellan/U.Arizona/D.Clowe et al. (osservazioni ottiche); NASA/STScI, ESO WFI, Magellan/U.Arizona/D.Clowe et al. (ricostruzione mediante il lensing).

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