giovedì 24 settembre 2009

L'osservatorio ALMA: a un passo dal cielo


Il deserto di Atacama, in Cile, è uno dei siti prediletti dove gli astronomi costruiscono da decenni gli osservatori più all'avanguardia per scrutare le profondità del cielo. Oltre ai celeberrimi telescopi situati presso La Silla e Cerro Paranal, gestiti dall'European Southern Observatory (ESO), la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa, in un raggio di poche centinaia di km sorgono anche diversi osservatori appartenenti a istituti di ricerca nordamericani, come, ad esempio, il Gemini Observatory. A oltre 2400 metri di altezza, questi telescopi beneficiano di uno dei climi più secchi che si possono trovare sul nostro pianeta, che minimizza ogni possibile effetto negativo della turbolenza atmosferica sulle osservazioni.

Ancora più in alto, un nuovo osservatorio è attualmente in costruzione nella regione: si chiama ALMA, acronimo di Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, e sarà completato nel 2012. Il luogo designato per quello che sarà il più imponente progetto astronomico mai realizzato è l'altopiano del Chajnantor, a oltre 5000 metri sul livello del mare. La scelta di un sito così alto e secco è necessaria perché ALMA non è un telescopio come tutti gli altri: per studiare in dettaglio la luce proveniente dalle nubi più fredde dell'universo, dove si formano nuove stelle, oppure dalle galassie più vecchie e lontane del cosmo, occorre osservare in una regione dello spettro elettromagnetico con lunghezza d'onda di circa un millimetro, compresa tra le onde radio e la luce infrarossa. Questa radiazione viene chiamata millimetrica e sub-millimetrica - in confronto, la luce visibile ha una lunghezza d'onda diecimila volte più piccola! La radiazione millimetrica e sub-millimetrica viene assorbita dal vapore acqueo presente nell'atmosfera terrestre: per questo motivo si è scelto un luogo alto e secco per costruire ALMA, dove l'elevata altitudine e l'estrema aridità del clima riducono al minimo la quantità di vapore acqueo presente nell'aria.

Per osservare a queste lunghezze d'onda, non si usano specchi o lenti, come nei telescopi tradizionali, bensì grandi antenne simili a quelle utilizzate per le trasmissioni radio. A causa della lunghezza d'onda molto più grande di quella della luce visibile, le dimensioni dell'antenna devono essere molto maggiori di quelle dei più grandi telescopi usati in astronomia, per ottenere immagini con la stessa risoluzione. In teoria, si dovrebbe costruire un'antenna con un diametro di qualche chilometro per ottenere prestazioni simili a quelle del telescopio spaziale Hubble, il che è evidentemente impossibile. Fortunatamente, è sufficiente coprire una regione molto estesa con tante antenne collegate tra loro per avere lo stesso effetto: una tecnica che va sotto il nome di interferometria. ALMA sarà quindi uno schieramento (Array) di 66 antenne, dal diametro di 7 o 12 metri, distribuite a distanze che variano da 150 metri a 16 chilometri, che possono essere mosse durante le operazioni di osservazione per ottenere l'effetto di uno zoom.

La realizzazione di un simile progetto è una sfida tecnologica non indifferente, che ha richiesto una enorme collaborazione internazionale tra ESO ed altri istituti di ricerca in Giappone e Nord America. In particolare, la ridotta pressione che si trova a 5000 metri rende estremamente difficile ogni operazione, sia quelle tecniche di costruzione degli strumenti stessi, che quelle che avverranno in futuro, quando l'osservatorio sarà pronto per essere utilizzato dagli astronomi: per questo motivo, la maggior parte delle attività viene svolta in un campo base situato a 2900 metri, anche questa un'altitudine decisamente elevata, ma ancora accettabile per lavorare.

Per ulteriori informazioni: www.almaobservatory.org

L'osservatorio ALMA è protagonista di un nuovo, esclusivo show per planetari realizzato in diverse lingue e disponibile qui.

CLAUDIA MIGNONE

Quest'immagine rende l'idea di come sarà l'osservatorio ALMA, quando sarà pronto, nel 2012. Immagine di ESO/H.Zodet

giovedì 17 settembre 2009

Il telescopio spaziale Hubble vede meglio di prima


Il telescopio spaziale Hubble, lanciato nel 1990, osserva le meraviglie del cosmo da una posizione privilegiata, in orbita intorno alla terra, da ormai quasi due decenni. Si tratta di un tempo considerevole per un prodotto di elevata tecnologia come questo: alcuni dei suoi strumenti avevano smesso di funzionare come una volta, altri semplicemente non potevano competere con i più moderni e sofisticati analoghi odierni.

Per questo motivo, la NASA ha progettato una missione di servizio, operata con successo nel maggio scorso, per installare due nuovi strumenti sul telescopio e riparare due di quelli già presenti a bordo. I sette astronauti a bordo dello Shuttle Atlantis hanno portato a termine il delicato incarico grazie a cinque “camminate” nello spazio, ciascuna della durata di sei ore e mezza; durante queste camminate, due astronauti per volta possono lavorare sul telescopio, che è stato costruito appositamente in modo da facilitare simili operazioni di manutenzione. Si è trattato della quinta ed ultima missione del genere, grazie alla quale il telescopio spaziale dovrebbe restare in funzione almeno fino al 2014.

Grazie alle recenti modifiche, Hubble è tornato sulla scena con risultati grandiosi: i nuovi strumenti sono più sensibili alla luce rispetto a quelli di precedente generazione, consentendo di riprendere immagini spettacolari con tempi di esposizione molto più brevi. Dopo tre mesi di cauta calibrazione e attento monitoraggio della nuova strumentazione, dopo aver osservato sorgenti astronomiche note ed averne analizzato le immagini, il team del telescopio spaziale ha presentato al mondo il nuovo Hubble, ringiovanito e con più grinta di prima.

Le nuove fotografie scattate da Hubble, rese pubbliche mercoledì 9 settembre 2009, mostrano stelle, galassie e nebulose con un incredibile grado di dettaglio. Le prossime osservazioni avranno come oggetto, fra gli altri, il censimento dei corpi della fascia di Kuiper, asteroidi che popolano le regioni più remote del sistema solare, insieme alla ricerca di pianeti extra-solari e delle galassie più vecchie e lontane dell’universo.

CLAUDIA MIGNONE

Immagine NASA, ESA, and the Hubble SM4 ERO Team.

giovedì 10 settembre 2009

Aggirare l’atmosfera con l’ottica adattiva


Guardare il mare e cercare di osservarne il fondale è sempre un po' difficoltoso. Lo è sia con l'acqua limpida che con quella torbida, sia col mare calmo che con quello agitato. Al variare del tempo, la luce riflessa dal fondale viene continuamente deviata in modo casuale dalle perturbazioni dovute alle increspature della superficie, e chi volesse a tutti i costi guardarlo così com'è veramente, senza che l'immagine venga distorta dalle onde, sarebbe costretto a piazzarsi sotto il pelo dell'acqua, provvisto di una buona maschera.

In astronomia la situazione è analoga: l'oggetto di studio degli scienziati (quello che poco fa è stato presentato come il fondale), viene osservato con l'ausilio di uno strumento, il telescopio (la maschera) e attraverso l'atmosfera (la superficie del mare). Ed è proprio la presenza dell'atmosfera che degrada la qualità dell'immagine e fa sì che l'oggetto di studio appaia come in una fotografia a bassa risoluzione.

L'astronomo che volesse studiare l'Universo senza l'interferenza dell'atmosfera non avrebbe alternativa se non quella di posizionare i telescopi in una posizione privilegiata, e cioè in orbita, oltre l'atmosfera stessa. Questa soluzione, benché già adottata, presenta notevoli limitazioni: i costi di realizzazione e manutenzione sono elevatissimi; i lunghi tempi di progettazione e costruzione determinano di fatto la messa in orbita di una tecnologia superata al momento del lancio; infine, le dimensioni dello strumento sono limitate dalle capacità dei razzi e dello Shuttle.

Negli ultimi decenni, però, è maturata una tecnica che si basa su sistemi capaci di sondare istante per istante le deformazioni indotte dalla turbolenza atmosferica: le informazioni così elaborate vengono immediatamente inviate ad uno specchio capace di deformarsi “in tempo reale” per correggere le perturbazioni dell'atmosfera. Questa tecnica si chiama “ottica adattiva”.

Ma come funziona? La luce proveniente da un oggetto astronomico lontano (stella, galassia) passa attraverso il telescopio fino ad arrivare ad uno specchio, chiamato specchio deformabile (di cui parleremo fra poco), ed infine giunge ad un particolare tipo di vetro capace di separare il fascio di luce in due frazioni: una parte della luce è quella effettivamente studiata dagli astronomi, la seconda parte viene riflessa verso uno strumento chiamato sensore di fronte d'onda.


Il sensore di fronte d'onda divide il fascio di luce in varie parti per ottenere, tramite semplici operazioni matematiche, informazioni sulla struttura turbolenta della porzione di atmosfera che è stata attraversata dalla luce. Queste informazioni vengono elaborate e tradotte in una serie di impulsi elettrici che sono poi applicati, tramite speciali martinetti, allo specchio deformabile menzionato prima. Questo specchio, in genere sottilissimo, prende istantaneamente una forma contraria a quella della turbolenza atmosferica, e corregge perciò il cammino della luce. A causa della rapida variabilità dell’atmosfera, una correzione efficace deve essere svolta continuamente e nel minor tempo possibile - un tempo che va da 1 a 15 millesimi di secondo.

L'ottica adattiva è usata oramai in molti telescopi in tutto il mondo, e permette di sfruttare al massimo le potenzialità di questi strumenti per ottenere immagini ad altissima risoluzione, migliorando le prestazioni dalle 10 alle 150 volte, e raggiungendo risultati paragonabili a quelli del telescopio spaziale Hubble.

DAVIDE RICCI

Lo schema di un sistema di ottica adattiva (a sinistra) e i risultati ottenuti con e senza l'uso di questa tecnica (a destra). L'immagine rossa in alto rappresenta un sistema formato da due stelle, osservato con l'ottica adattiva: le due stelle sono chiaramente distinte, mentre non sono più distinguibili nell'immagine in basso, ottenuta senza l'uso di ottica adattiva. Immagine dell'Istituto di Astronomia delle Hawaii.

giovedì 3 settembre 2009

Scie di luce nel cielo di agosto


C'è chi le chiama comunemente "stelle cadenti", chi invece allude alla tradizione e parla delle "Lacrime di San Lorenzo". Gli astronomi usano il termine tecnico, Perseidi. Il fenomeno a cui tutti questi nomi si riferiscono è uno dei più spettacolari eventi astronomici fruibili ad occhio nudo: centinaia di scie luminose attraversano il cielo estivo, in particolare nella seconda settimana di Agosto, lasciando a bocca aperta milioni di osservatori che sperano di esprimere qualche desiderio, di ottenere qualche fotografia fuori dal comune o, più semplicemente, si godono lo spettacolo di luce.

Il termine "stelle cadenti" è leggermente fuorviante, in quanto lascia pensare che si tratti di stelle che si muovono nel cielo. Al contrario, si tratta di oggetti estremamente più piccoli di una stella e molto più vicini: i frammenti lasciati da una cometa. Quando la terra passa nelle vicinanze dell'orbita di una cometa, le particelle che ne compongono la scia impattano l'atmosfera del nostro pianeta e, disintegrandosi, producono le tanto affascinanti strisce nel cielo.

Pare che le prime osservazioni di questi sciami meteorici siano state compiute dagli astronomi cinesi nel primo secolo d.C. ma la comprensione fisica del fenomeno risale soltanto all'Ottocento. Fu un astronomo italiano, Giovanni Virginio Schiaparelli, a riconoscere, nel 1866, il legame con i frammenti delle comete: in particolare, comprese che a causare le Perseidi è la cometa Swift-Tuttle, che era stata avvistata pochi anni prima, nel luglio del 1862, e che porta i nomi dei suoi due scopritori, Lewis Swift e Horace Parnell Tuttle.

Il nome Perseidi è dovuto al fatto che le scie sembrano tutte provenire da un punto, detto radiante, che si trova in prossimità della costellazione di Perseo, come mostra l'immagine. Un altro famoso sciame meteorico, le Leonidi, ha invece il radiante nella costellazione del Leone; particolarmente spettacolari, le Leonidi sono visibili ogni anno verso la metà di Novembre, quando la Terra passa attraverso l'orbita di un'altra cometa, la Tempel-Tutte.

CLAUDIA MIGNONE


In questa riproduzione del cielo della metà di Agosto 2009 è visibile il radiante delle Perseidi, il punto da cui sembrano originarsi tutte le scie luminose, in prossimità della costellazione di Perseo. Purtroppo la vicinanza della Luna, nella fase di ultimo quarto, ha limitato la spettacolarità dell'evento a causa della sua intensa luminosità. Immagine NASA.