Leggendo le news scientifiche riportate dai principali media, si ha spesso l’impressione che la ricerca sia una grande gara: chi arriva primo al traguardo sarà ricordato per sempre, e dopo una grande scoperta i casi sono archiviati. Di solito non si tratta di una descrizione fedele della realtà. Talvolta, però, l’atmosfera di gara contro il tempo non è soltanto il succo del messaggio filtrato dai mezzi di comunicazione, ma fa parte della routine stessa degli scienziati. Almeno, qualche volta. Vediamone alcuni esempi molto recenti.
Lo scorso maggio, il Telescopio Spaziale Hubble è stato visitato da un team di astronauti che hanno sostituito e riparato alcuni dei suoi strumenti, aumentando enormemente le sue già elevate prestazioni. Il potente occhio che scruta il cosmo al di fuori della nostra atmosfera è risorto a nuova vita, ed ha compiuto numerose osservazioni durante l’estate. Uno degli obiettivi più ambiti dagli astronomi è il cosiddetto Hubble Ultra Deep Field, il campo estremamente profondo: si tratta di una fotografia del cielo ottenuta esponendo per oltre 48 ore, per cercare di captare la luce delle galassie più lontane da noi, tra le prime ad essersi formate nell’Universo. Già il “vecchio” Hubble, prima dell’installazione dei nuovi strumenti, aveva ottenuto immagini spettacolari, individuando galassie formatesi solo 800 milioni di anni dopo il Big Bang, e i risultati promessi dai nuovi strumenti erano attesi con gran trepidazione. I primi dati sono stati resi pubblici lo scorso 9 settembre all’intera comunità scientifica. Solo due giorni dopo, nel database dove gli astronomi caricano i loro articoli scientifici, c’erano già quattro articoli che riportavano la scoperta delle galassie più lontane mai viste finora, formatesi tra 700 e 550 milioni di anni dopo il Big Bang. Per ottenere questi numeri, i membri dei gruppi che hanno presentato questi lavori raccontano di aver lavorato ininterrottamente per 48 ore all’analisi dei dati: probabilmente parte del lavoro era già pronto, ed aspettavano soltanto i dati veri per tirare fuori i numeri. Dopo oltre tre mesi, quei primi risultati non sono ancora stati del tutto confermati, mentre gli articoli pubblicati sull’argomento sono aumentati, sia in numero che in accuratezza dell’analisi. In fondo, non importa trovare “la” galassia più lontana, anche se forse quello è il (momentaneo) traguardo che rimane impresso nella memoria collettiva. I risultati interessanti per comprendere la formazione delle galassie e l’intera storia del nostro universo si ottengono individuando “tante” galassie lontane e non in due giorni, ma in settimane e mesi di lavoro.
Analogamente, le ultime settimane hanno visto una simile corsa nel campo della fisica delle particelle. L’acceleratore LHC (di cui ci siamo occupati la settimana scorsa) ha iniziato a funzionare al CERN di Ginevra, anche se ancora a basse energie. Le prime collisioni di protoni sono avvenute il 23 novembre, e soltanto cinque giorni dopo un articolo che riportava i risultati ottenuti era già pronto per la pubblicazione, firmato da un’immensa collaborazione di fisici che in quei giorni hanno lavorato non-stop. Anche in questo caso, tanta parte del lavoro era già stata preparata da mesi, e si aspettavano con ansia i dati da buttare in pasto all’analisi per tirare fuori i primi numeri. La corsa ad essere i “primi” ha accelerato il lavoro, anche se si dovranno aspettare ancora mesi per il risultato principale atteso dall’esperimento, ovvero la conferma (o meno) che la cosiddetta particella di Higgs esista, e le conseguenti implicazioni sulle teorie fisiche fondamentali.
Lo scorso giovedì, inoltre, sono stati annunciati i risultati di un altro importante esperimento per la fisica delle particelle, condotto negli Stati Uniti e dedito a cercare di individuare, in laboratorio, la cosiddetta materia oscura che gli astrofisici ritengono pervada l’universo. L’esperimento si chiama CDMS (Cryogenic Dark Matter Search) e si trova in una miniera, quasi un chilometro sottoterra, nel Minnesota. Ma già una decina di giorni prima dell’annuncio stesso, la comunità scientifica era in gran fermento. Prima di conoscere la natura stessa dei nuovi dati che stavano per essere pubblicati, ma basandosi semplicemente sulla notizia che “alcuni” dati sarebbero stati annunciati a proposito della materia oscura, almeno tre gruppi nel mondo avevano già iniziato a preparare articoli analizzando le possibili conseguenze teoriche di questi risultati! Alla fine, l’annuncio non è stato epocale come ci si aspettava: due osservazioni compiute con CDMS “potrebbero” essere spiegate con la materia oscura, ma non necessariamente. C’è bisogno di ulteriori osservazioni e, ovviamente, di lunghe analisi per interpretare i risultati ottenuti.
Perché correre, dunque? Per essere i primi a trovare la galassia più lontana, la particella più elusiva? Per accontentare dei mezzi di comunicazione affamati di notizie che dimenticano il giorno successivo? Dopo un anno passato dietro le fila di questa rubrica, porsi queste domande è naturale. Abbiamo provato a proporre, con “a riveder le stelle”, uno spazio alternativo, che ai racconti di gare e traguardi sostituisse una riflessione più attenta sulla scienza nascosta dietro ogni risultato. Speriamo di esserci riusciti, almeno un pochino. Colgo l’occasione per salutare tutti i lettori e ringraziare tutti i collaboratori che hanno scritto durante questo lungo Anno dell’Astronomia 2009.
CLAUDIA MIGNONE
Nell'immagine, la versione più recente dell'Hubble Ultra Deep Field, realizzata tramite osservazioni nella banda infrarossa per catturare la luce delle galassie più lontane, tra le prime a formarsi nell'universo. Per capire la profondità di queste osservazioni, si pensi che i lati dell'immagine, nel cielo, sono circa 12 volte più piccoli del diametro della Luna! (NASA, ESA, and the HUDF09 Team)
Buffo che la sezione scientifica del New York Times abbia pubblicato un articolo di un opinionista che si avvale di questi stessi tre esempi...
RispondiEliminacerto, il punto era un altro, o forse era simile al mio ma con una sfumatura diversa... però fa piacere sapere di non avere delle opinioni del tutto peregrine:
http://www.nytimes.com/2009/12/29/science/29essa.html
ah, per la cronaca, il mio articolo e' uscito qualche giorno prima!