giovedì 25 giugno 2009

In cerca di pianeti extra-solari


Esistono altre stelle intorno alle quali ruotano dei pianeti, proprio come il nostro intorno al Sole? Si tratta di una domanda tanto antica quanto l’astronomia “moderna”: già nel 1584, poco dopo la nascita della teoria copernicana, Giordano Bruno si interrogava sulla possibile esistenza di “innumerabili ed infiniti globi, come vi è questo in cui vivemo e vegetamo noi”. Purtroppo la tecnologia dell’epoca non era certo in grado di rispondere a tale quesito. Si è dovuto aspettare l’ultimo decennio del XX secolo per avere le prime conferme osservative e poter affermare che di pianeti extra-solari (ovvero al di fuori del sistema solare) ne esistono moltissimi.

Ad oggi, sono noti 353 pianeti extra-solari. A causa dell’estrema differenza di luminosità tra stelle e pianeti, la loro ricerca è estremamente difficile. Le tecniche per individuarli (come già accennato nel numero scorso) sono per lo più indirette: dall’osservazione delle proprietà di alcune stelle si può dedurre che intorno ad esse orbitano uno o più pianeti. In particolare, la comunità astronomica fa uso principalmente di tre metodi: la dinamica, l’occultamento e il lensing gravitazionale.

La tecnica dinamica per individuare i pianeti extra-solari si basa sul fatto che, in realtà, non è solo il pianeta a ruotare intorno alla stella: ruotano infatti entrambi intorno al loro comune centro di massa, anche se, a causa della massa molto più grande della stella, la sua orbita è molto più piccola e quasi impercettibile. Il moto della stella può essere identificato tramite misure accuratissime della sua posizione in cielo, oppure tramite lo spostamento Doppler della luce che emette. In questo modo, nel 1995 è stato scoperto il primo pianeta che orbita intorno ad una stella simile al Sole, chiamata 51 Pegasi, nonché la maggior parte dei pianeti extra-solari scoperti da allora.

La tecnica dell’occultamento è intuitivamente più immediata: quando un pianeta, durante la sua rivoluzione, passa davanti alla stella, eclissa parzialmente la sua luce per un certo intervallo di tempo. L’osservazione di variazioni periodiche di luminosità ha permesso di scoprire l’esistenza di svariati pianeti dal 2002 ad ora, ed è oggetto delle missioni spaziali CoRoT (lanciata nel 2006) e Kepler (lanciata nel marzo 2009).

Un altro metodo indiretto per cercare pianeti è il lensing gravitazionale, già discusso nei precedenti numeri di Futura (sia dal punto di vista astrofisico che storico): quando una stella passa tra noi ed un’altra stella più lontana, la stella intermedia modifica il percorso dei raggi provenienti dalla stella lontana. A seconda della massa della stella intermedia, l’effetto sulla stella lontana può essere osservato; inoltre, se la stella intermedia possiede uno o più pianeti, l’effetto sarà diverso e, quindi, potenzialmente individuabile. Si tratta di una tecnica nuova (la prima scoperta risale al 2004) e particolarmente promettente, in quanto può individuare pianeti a distanze molto maggiori rispetto agli altri due metodi. La scorsa settimana è stata annunciata la scoperta, da parte di una collaborazione tra le università di Salerno e di Lecce, del primo pianeta individuato, grazie al lensing gravitazionale, al di fuori della nostra Galassia, precisamente nella galassia Andromeda, la nostra “vicina”.

Infine, l’osservazione diretta di pianeti extra-solari è una tecnica estremamente all’avanguardia e richiede strumenti di altissima precisione. Finora pochissimi pianeti sono stati osservati direttamente, e tra essi un sistema multiplo di tre pianeti: si tratta tuttavia di oggetti molto massicci e lontani dalla loro stella, più simili a Giove che alla Terra. L’osservazione diretta di pianeti extra-solari di tipo terrestre sarà oggetto di missioni spaziali future, come il satellite Darwin, un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea che potrebbe essere lanciato nel 2015.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'illustrazione di G. Bacon è rappresentato il pianeta HD 209458, che orbita intorno ad una stella simile al Sole e dista 150 anni luce da noi. Scoperto nel 1999, questo pianeta è oggetto di intenso studio per cercare segnali di vita nella composizione chimica della sua atmosfera. (Immagine STScI/AVL)

giovedì 18 giugno 2009

Il grande binocolo che scruta il cielo


Sulle montagne dell'Arizona, negli Stati Uniti, a 3200 metri sul livello del mare, si trova un gioiello tecnologico frutto della collaborazione scientifica tra istituti astronomici italiani, tedeschi e statunitensi. Si tratta di LBT (Large Binocular Telescope, trad. Grande Telescopio Binoculare), uno dei telescopi più potenti mai costruiti sulla Terra.

La particolarità di questo strumento è da ricercarsi proprio nella struttura binoculare: con i suoi due specchi, di 8,4 metri di diametro ciascuno, installati sulla stessa montatura meccanica, LBT è il più grande telescopio del mondo. Perché due specchi? Innanzitutto, perché catturano più luce. Inoltre, i due specchi possono operare con strumenti differenti, osservando la stessa porzione di cielo a lunghezze d'onda diverse: ciò rende possibile lo studio di fenomeni fisici di natura diversa che avvengono negli stessi oggetti astronomici.

Ma il principale vantaggio del grande binocolo è la possibilità di combinare la luce ricevuta singolarmente dai due specchi, secondo una tecnica detta interferometria. Quando opera in interferometria, LBT ha un risoluzione impareggiabile: restituisce, infatti, immagini con lo stesso grado di dettaglio che otterrebbe un telescopio con un unico specchio di 22,8 metri di diametro, finora mai realizzato.


L'eccellente risoluzione di LBT, capace di vedere un'automobile sulla Luna, risulta di estrema importanza nell'osservazione di oggetti astronomici piccoli e grandi, vicini e lontani: le galassie più remote e la loro distribuzione su grande scala nell'universo sono tra i principali target del progetto, insieme allo studio dei buchi neri super-massicci al centro delle galassie. Ma anche la ricerca di pianeti al di fuori del sistema solare è uno degli obiettivi di LBT: ad oggi se ne conoscono circa trecento, ma la maggior parte sono stati rilevati tramite metodi indiretti. Solo un paio di pianeti extra-solari sono stati osservati direttamente, e ci si aspetta che questo nuovo telescopio riuscirà ad individuarne molti altri ancora.

Inaugurato nell'ottobre 2004, LBT è pienamente operativo da poco più di un anno: la prima osservazione in modalità binoculare, cioè utilizzando entrambi gli specchi, risale al marzo del 2008. L'Italia ha contribuito ad un quarto del costo totale del progetto, pari a 110 milioni di euro, ed è quindi proprietaria, tramite l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), di un quarto del telescopio: il 25% del tempo di osservazione spetta dunque a gruppi di ricerca italiani. In particolare, direttamente coinvolti nel progetto sono gli osservatori astronomici di Arcetri (Firenze), Bologna, Roma, Padova e Brera (Milano).

Per ulteriori informazioni: www.lbt.it

CLAUDIA MIGNONE

Nella foto di Marc-Andre Besel e Wiphu Rujopakarn, l'imponente struttura del Large Binocular Telescope, coi suoi due specchi di 8,4 metri di diametro ciascuno.

lunedì 15 giugno 2009

Il cammino di Planck e Herschel


La ricerca spaziale sta vivendo un'epoca di rinnovato sviluppo, alimentata da nuove tecnologie e dai più svariati stimoli. Da un punto di vista scientifico, agenzie spaziali e istituti di ricerca in tutto il mondo si interessano a studiare l'ambiente della Terra e della Luna, a ottenere una comprensione esauriente del Sistema Solare e dell'universo, a cercare forme di vita extraterrestri, a scoprire e analizzare altri sistemi planetari. Allo stesso tempo, esistono missioni che possono portare a notevoli progressi a livello sociale ed economico. Si pensi ad esempio al monitoraggio del clima o al Global Positioning System (GPS).

Uno degli aspetti fondamentali per la buona riuscita di una determinata missione spaziale consiste nell'accurata determinazione della strada da percorrere. La traiettoria deve soddisfare severe restrizioni, che dipendono generalmente dalla capacità di comunicare con la Terra, dalla durata richiesta dagli obiettivi della missione, dal carburante utilizzabile e dal carico di strumentazioni da portare a bordo. Planck, a cui Futura ha recentemente dedicato una serie di articoli (in particolare, un'intervista in occasione del lancio e una breve introduzione agli obiettivi scientifici della missione), è stata lanciata dalla base europea della Guiana Francese insieme a Herschel, sonda che si occuperà di studiare la formazione delle galassie nell'universo primordiale, la nascita delle stelle e la composizione chimica di atmosfera e superficie di comete, pianeti e satelliti naturali. Tra poche settimane, entrambe si posizioneranno su orbite di Lissajous intorno al cosiddetto punto L2, si muoveranno cioè su una specie di ciambella intorno a uno dei punti di equilibrio che giacciono sulla linea che congiunge la Terra e il Sole.

Questa posizione viene calcolata assumendo un certo modello di forze agenti sulla sonda. Si parte da un modello semplificato, Sole-Terra-sonda, e si aggiungono via via i contributi dovuti ad altri effetti, come l'attrazione gravitazionale di altri pianeti o effetti relativistici. Per altre missioni in passato sono state considerate orbite intorno a uno degli altri punti di equilibrio del Problema Ristretto dei Tre Corpi, L1, che si trova tra la Terra e il Sole. Essenzialmente, è facile e poco costoso raggiungere dalla Terra sia L1 sia L2, entrambi offrono un configurazione geometrica favorevole dal punto di vista delle telecomunicazioni, L1 rappresenta un ottimo punto di osservazione del Sole (sfruttato dalla missione SOHO), L2 si adatta a missioni che richiedono grande stabilità termica e la possibilità di osservare metà della sfera celeste in ogni momento. Questi ultimi due aspetti sono stati decisivi nello scegliere dove posizionare Planck e Herschel.

D'altra parte, l'orbita di Lissajous è quella che richiede meno 'manutenzione'. Dal momento che le orbite naturali intorno a L2 sono dinamicamente instabili, il sistema di propulsione viene acceso a intervalli regolati per effettuare manovre allo scopo di conservare l'orbita nominale. Questa procedura viene detta station keeping.

ELISA MARIA ALESSI

giovedì 4 giugno 2009

Lo spettacolo delle eclissi di sole


Abituati al normale alternarsi del dì e della notte, gli animali diventano particolarmente irrequieti qualora, nel bel mezzo del giorno, il disco solare venga oscurato e le tenebre cadano sulla Terra. Gli esseri umani, invece, grazie a millenni di esperienza ed attenta osservazione, possono non spaventarsi: sanno infatti che si tratta probabilmente di un’eclisse di Sole, un fenomeno astronomico tanto raro quanto affascinante.

Un’eclisse solare si verifica quando la Luna si trova perfettamente allineata tra la Terra ed il Sole, ed il suo cono d’ombra oscura la luce proveniente dalla stella. A causa delle diverse dimensioni del Sole e del cono d’ombra, un’eclisse totale interessa una zona molto limitata della superficie terrestre, pari a circa 270 km; si tratta del caso più spettacolare, in cui il disco solare è interamente oscurato e diventa visibile la corona, la parte più esterna dell’atmosfera solare. La stessa eclisse può essere però osservata, sotto forma di eclisse parziale, dalla vasta regione investita dalla penombra, che si estende per migliaia di km intorno alla zona d’ombra: in questo caso, meno eclatante, il disco solare risulta solo in parte oscurato.



Un altro fenomeno interessante si verifica quando la Luna, oltre ad essere perfettamente allineata, è anche in apogeo, ovvero alla massima distanza dalla Terra. In tal caso il cono d’ombra non raggiunge la superficie terrestre e non può oscurare completamente il disco solare, di cui resta visibile la parte esterna, sotto forma di anello luminoso: si parla infatti di eclisse anulare.

In un anno si possono osservare da 2 a 5 eclissi solari; poiché le eclissi totali interessano solo una piccolissima porzione della superficie terrestre, esse si ripetono in uno stesso luogo con un ciclo di circa 360 anni. La prossima eclisse totale di Sole sarà visibile in India e Cina il 22 Luglio 2009; per osservarne una dall’Italia occorrerà aspettare il 2026.

Nei secoli passati le eclissi erano oggetto di intenso studio astronomico, offrendo la possibilità di osservare la corona, le protuberanze solari ed altri fenomeni altrimenti impossibili da analizzare a causa della luminosità del Sole. Grazie al coronografo, uno strumento che ostruisce il disco solare, è adesso possibile generare eclissi ‘artificiali’ e studiare questi fenomeni senza dover aspettare le eclissi ed inseguirle sul globo terrestre. Ma anche se l’importanza astronomica di questi eventi non è più significativa come una volta, si tratta comunque di un fenomeno straordinario che appassionati e non continuano ad ammirare, e che ci ricorda, di tanto in tanto, la nostra posizione nel cosmo.

CLAUDIA MIGNONE

La sequenza di foto, scattate durante l'eclisse di sole dell'11 agosto 1999 in Francia, è di Luc Viatour.

Novanta anni e più di Relatività Generale

Celebrato venerdì scorso l’anniversario di un esperimento leggendario

Il fenomeno del ‘lensing’ gravitazionale, ovvero la deflessione dei raggi luminosi dovuta alla presenza di corpi massicci lungo il loro percorso, è stato descritto rigorosamente per la prima volta da Albert Einstein nel 1915, nell’ambito della sua Teoria della Relatività Generale.

L’idea che un corpo dotato di massa possa deflettere la luce è tuttavia ancora più vecchia: già Isaac Newton l’aveva ipotizzata nel 1704, e l’astronomo tedesco Johann Georg von Soldner, nel 1801, aveva calcolato l’angolo di deflessione subito da un raggio di luce che passi in prossimità di una stella come il Sole. Il risultato di Soldner, pari a 0,87 secondi d’arco (dove un secondo d’arco è la 3600esima parte di un grado, e l’angolo sotteso dal sole in cielo corrisponde a circa mezzo grado), era in realtà sbagliato, in quanto basato sull’applicazione della teoria della gravità di Newton a particelle prive di massa, i fotoni.

Nel 1911, ignaro dei calcoli di Soldner, anche Einstein ottenne lo stesso valore (di nuovo sbagliato) nell’ambito della Teoria della Relatività Ristretta; la Relatività Generale non era ancora pronta. Questo valore, per quanto piccolo, poteva essere misurato con gli strumenti dell’epoca: ci si aspettava, infatti, che la posizione di una stella in cielo, nelle vicinanze del Sole, fosse diversa rispetto a quella osservata quando il Sole si trova in un’altra regione del cielo. Con un solo piccolo inconveniente: il Sole è talmente luminoso che oscura le stelle in cielo. Per osservarle, occorre ‘eliminare’ il Sole dalla scena, il che è per fortuna possibile durante un’eclisse di sole.

Nel 1912 una spedizione di astronomi si recò in Brasile per osservare un’eclisse di Sole, ma purtroppo le condizioni meteorologiche non furono favorevoli e non si ottenne alcun risultato. Nel 1914, un’analoga spedizione diretta in Crimea avrebbe dovuto studiare un’altra eclissi, ma con il sopraggiungere della Prima Guerra Mondiale gli astronomi furono rapiti ed i loro strumenti sequestrati, rendendo l’impresa impossibile.

Intanto, nel 1915 Einstein aveva completato la Relatività Generale, e poté ripetere i conti nell’ambito di questa nuova teoria della gravità, secondo cui i corpi dotati di massa curvano lo spazio-tempo, modificando, fra l’altro, il percorso dei raggi luminosi. Questa volta il valore predetto per la deflessione della luce causata dal Sole era esattamente il doppio del risultato precedente: 1,74 secondi d’arco. Un’eventuale misura di questa deflessione avrebbe, a questo punto, rappresentato un banco di prova per la nuova teoria della gravità appena formulata dal fisico tedesco.

I risultati non tardarono a venire: il 29 maggio 1919, l’astronomo inglese Sir Arthur Eddington diresse personalmente una spedizione a Príncipe, nell’arcipelago di São Tomé e Príncipe, sulla costa occidentale dell’Africa equatoriale, per osservare un’eclisse di Sole, mentre altri suoi collaboratori si trovavano in Brasile per effettuare contemporaneamente analoghe misure. Per fortuna questa volta fu possibile misurare la posizione di alcune stelle prossime al Sole durante l’eclisse: il confronto con la posizione di queste stesse stelle osservata quattro mesi prima a Oxford confermò il secondo valore predetto da Einstein e, con esso, la Teoria della Relatività Generale.

Sono passati novant’anni da allora. Né Einstein né Eddington immaginavano che l’effetto di lente gravitazionale potesse essere osservato in altre circostanze astronomiche. Sessanta anni dopo, invece, fu osservata per la prima volta l’immagine doppia di una stessa sorgente astronomica: l’esistenza di immagini multiple è infatti una peculiarità del ‘lensing’ gravitazionale. Era il 1979, e nei trenta anni seguenti il ‘lensing’ è diventato uno dei più potenti strumenti per studiare la distribuzione della materia nell’universo.

L’eclisse del 1919 rappresenta, dunque, una pietra miliare nella storia della scienza del XX secolo. Venerdì scorso, in occasione del novantesimo anniversario di questa importante scoperta, e nell’ambito delle celebrazioni dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, si è tenuta una manifestazione commemorativa nell’isola di Príncipe, con lezioni ed una mostra indirizzate alla popolazione locale, e con l’installazione di una targa che ricorda l’evento nella piantagione di Roça Sundy, in corrispondenza del luogo esatto in cui Eddington compì le sue rivoluzionarie osservazioni.


Per saperne di più: www.1919eclipse.org

CLAUDIA MIGNONE

Immagine: Illustrazione dell'esperimento di Eddington, che misurando la posizione di alcune stelle prima e durante un eclisse totale di Sole diede per la prima volta una conferma sperimentale della Teoria della Relatività Generale di Einstein. Dalla targa installata nella piantagione di Sundy il 29 maggio 2009, in occasione del novantesimo anniversario dell'eclisse (IAU/IYA/RAS).