giovedì 27 novembre 2008

Asteroidi: non solo il martello di Dio

Perché questi piccoli oggetti rocciosi hanno sempre destato fascino

Gli asteroidi sono piccoli oggetti rocciosi di forma irregolare che orbitano intorno al Sole. Non sono abbastanza grandi da poter essere considerati pianeti e dunque appartengono alla categoria di corpi minori del Sistema Solare. Fin dal 1801, anno in cui Giuseppe Piazzi scoprì il primo asteroide, questi corpi hanno suscitato un’incessante curiosità e non solo per gli effetti devastanti che potrebbero causare se incontrassero la superficie terrestre.

All’inizio del XIX secolo, la legge di Titius–Bode godeva di una certa autorevolezza: assegnando ad ogni pianeta un numero, in ordine crescente dal più vicino al più lontano rispetto al Sole, si poteva calcolare la corrispondente distanza in base ad una semplice espressione matematica. Per qualche strana ragione, questa legge funzionava straordinariamente bene per tutti i pianeti fino ad allora conosciuti, cioè fino a Urano, a patto però di fare un piccolo salto tra Marte e Giove. Quando venne scoperto l’asteroide Cerere nel 1801, la sua distanza si adattava benissimo al pianeta mancante. Quest’ulteriore conferma alla legge di Titius–Bode e la successiva scoperta di altri asteroidi da un lato stimolò la ricerca di nuovi pianeti, dall’altro spinse a domandarsi per quale motivo tra Marte e Giove ci fossero tanti frammenti di roccia al posto di un solo pianeta.

In effetti, non molto tempo dopo venne scoperto Nettuno e quasi un secolo dopo Plutone. Piano piano ci si rese conto che esistevano ragioni più profonde e complesse di quella data da una banale corrispondenza numerica per giustificare il movimento più o meno stabile dei pianeti a una data distanza dal Sole. Riguardo la presenza di un gran numero di asteroidi in orbita tra Marte e Giove, i cosiddetti Asteroidi della Fascia Principale, all’inizio venne ipotizzata un’esplosione di un preesistente pianeta, ma poi questa teoria venne scartata, essenzialmente per la composizione chimica non omogenea tra un asteroide e l’altro e per la piccola quantità di materia che questi corpi rappresentano. Basti pensare che la massa di tutti gli asteroidi scoperti finora non raggiunge la massa della Luna.

Oggi si tende a credere che Giove abbia impedito che questi corpi minori si aggregassero per formare un vero e proprio pianeta. Si cerca dunque di fare luce su molte domande ancora senza risposta riguardo l’origine del Sistema Solare attraverso analisi dettagliate sulla forma e composizione di determinati asteroidi, tra i più antichi corpi del nostro Sistema Solare. Si pensi alla recente missione Dawn, che sta andando da Cerere e Vesta, a Rosetta, che nel suo
cammino verso la cometa 67/P Churyumov–Gerasimenko ha incontrato Steins, ma anche a NEAR e Galileo. Da un punto di vista dinamico e considerando solo gli Asteroidi della Fascia Principale, sono due i fenomeni più interessanti: le risonanze di moto medio e le collisioni. Le risonanze determinano la stabilità del movimento degli asteroidi. In base al rapporto di risonanza esistente, può succedere che un asteroide e Giove non si incontrino mai o che si incontrino a intervalli di tempo regolari. In quest’ultimo caso, la grande forza esercitata da Giove può ‘perturbare’ in modo drastico l’orbita del planetesimo, che dopo un certo numero di incontri viene costretto ad allontanarsi dalla Fascia Principale, magari per avvicinarsi alla Terra. D’altro canto, le collisioni, ossia gli scontri tra un asteroide e l’altro, modellano la forma dei corpi stessi, la rotazione di un asteroide intorno al proprio asse, l’avvicinarsi all’una piuttosto che all’altra risonanza e il formarsi di sistemi binari.

Certamente, leggendo i quotidiani si ha l’impressione che negli ultimi anni grande attenzione sia stata rivolta allo studio di possibili collisioni tra la Terra e un asteroide. Il rischio non è più elevato rispetto al passato, bensì la tecnologia e i progressi scientifici permettono ora studi non così banali. Ad esempio, la rilevazione di un asteroide desta meno problemi e si può contare sulla collaborazione di diversi osservatori disseminati in tutto il mondo. Esistono poi
tecniche molto raffinate per seguire il corpo nella storia precedente all’ultima osservazione e per predirne il comportamento futuro. Infine, siamo testimoni di un considerevole entusiasmo e impegno al fine di sviluppare possibili contromisure per un eventuale incontro troppo ravvicinato.

ELISA MARIA ALESSI

giovedì 20 novembre 2008

Quando Plutone era un pianeta

L'età dell'innocenza raccontata da un'astronoma

Per quasi un secolo i bambini a scuola hanno imparato che il sistema solare è formato da nove pianeti: Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. I primi quattro sono piccoli e fatti di roccia, i secondi quattro sono invece giganti e composti da una miscela di gas. E poi c'era Plutone.

Plutone ha sempre avuto un fascino esotico, con le sue caratteristiche un po' fuori dal comune: l'ultimo ad esser stato scoperto, nel 1930, è il più lontano dal Sole, ma non sempre - la sua orbita altamente eccentrica interseca leggermente quella di Nettuno, che regolarmente prende il posto di pianeta più lontano. Inoltre, Plutone è estremamente piccolo, molto più piccolo dei quattro pianeti rocciosi più prossimi al Sole, niente più che un sasso in confronto ai più vicini pianeti gassosi, rispetto ai quali deve aver avuto una diversa origine.

Finché era un pianeta, Plutone aveva anche un satellite, Caronte, che non è però molto più piccolo di Plutone stesso, al contrario di tutti gli altri satelliti del sistema solare, sensibilmente più piccoli dei loro rispettivi pianeti. Caronte è stato identificato come satellite per ragioni essenzialmente storiche, in quanto scoperto oltre 40 anni dopo Plutone, ma sarebbe più opportuno considerare entrambi come un sistema binario di pianeti. O forse, non considerare pianeta nessuno dei due. Questa decisione, che a prima vista può sembrare un po' drastica, nasce da una serie di nuove scoperte, avvenute nell'ultimo decennio, di altri corpi celesti, ancora più distanti dal Sole e con massa simile a quella di Plutone. Si tratta di nuovi pianeti? E quanti altri se ne scopriranno nei prossimi anni? Queste ed altre domande hanno portato l'Unione Internazionale degli Astronomi a chiedersi cosa sia esattamente un pianeta.

Nel 2006 la risposta: una nuova, più precisa definizione di pianeta. Non basta che orbiti intorno al sole e che abbia una forma approssimativamente sferica, ci vuole una caratteristica aggiuntiva, legata alla dinamica del corpo stesso: per essere un pianeta, deve avere una massa significativamente più grande di tutti gli altri corpi che si trovano nella sua orbita. Con il suo scomodo compagno Caronte, Plutone non soddisfa questa definizione e così, dopo 76 anni, ha smesso di essere un pianeta.

Intendiamoci bene: nulla cambia sostanzialmente nel sistema solare, né tanto meno nell'universo. Plutone è sempre lì che gira intorno al sole, è solo la sua definizione ad essere diversa. Eppure leggere su un libro di scienze fresco di stampa o sui pannelli appena aggiornati di un planetario che i pianeti sono otto, e non nove, lascia spiazzati in molti, che si trovano a doversi abituare ad un cambiamento repentino, dopo esser stati convinti per anni che la situazione fosse diversa, e che non sarebbe mai mutata.

Anche nella vita di uno scienziato arriva un momento del genere, prima o poi, in cui Plutone smette di essere un pianeta. Nell'immaginario comune, gli scienziati sono dei personaggi carichi di entusiasmo, sempre sull'orlo di nuove, grandi scoperte. Sembra quasi che non abbiano mai perso quella incontenibile e genuina curiosità che probabilmente avevano sin da ragazzi, e che li ha portati a fare questo lavoro. Ma non è affatto così.

Molti, se non tutti, hanno uno o più periodi di forti dubbi e realizzano, dopo averla praticata attivamente per qualche tempo, che la scienza non è quell'attività meravigliosa che immaginavano da bambini, e non lo è per tanti, diversi motivi. Ci sono ovviamente quelli più squisitamente logistici, ovvero la precarietà, il doversi spostare continuamente, il futuro incerto che caratterizzano questo lavoro adesso, forse, come non mai. Certo contribuisce la sensazione di doversi vendere continuamente come dei clown perché chi finanzia sono burocrati senza alcun senso della scienza, accompagnata da uno scollamento con il resto della società, che degli scienziati pare non capire né i progressi né i problemi.

Ma la caduta delle maschere ha anche radici più sostanziali. Quando si raggiunge la consapevolezza che la scienza non potrà mai spiegare tutto, che ogni risultato si basa su una serie di assunzioni e approssimazioni, talvolta inesatte, diventa difficile ignorarla. Si inizia a fare scienza credendo di essere liberi, e ci si ritrova legati dentro meccanismi che si fatica a identificare. C'è chi finge di non vederli, e va avanti, un po' per inerzia. Ma c'è anche chi continua a guardarsi intorno, a tratti sfiduciato, però sempre curioso di scoprire cosa succederà di nuovo. C'è chi cambia campo, alla ricerca di un sogno meno perfetto dell'originale, ma forse più sopportabile. E c'è chi osserva la propria disillusione, e la accetta, e cerca di imparare anche da essa. Le maschere sono cadute, Plutone non è più un pianeta e la scienza non è straordinaria come si pensava un tempo. Ma Plutone adesso è un 'pianeta nano', e con esso ne conosciamo già altri quattro; ancora più lontano ci sono una miriade di altri oggetti che ancora aspettano di essere scoperti e classificati. La scienza non sarà straordinaria, ma la natura che essa cerca di descrivere lo è, e la curiosità nei suoi confronti non si spegne così facilmente.

CLAUDIA MIGNONE

Le immagini che accompagnano quest'articolo sono state scelte tra le opere in concorso nell'ambito del programma Catch a Star, una competizione per studenti delle scuole di tutto il mondo indetta annualmente da ESO, l'ente europeo per la ricerca astronomica (www.eso.org).