giovedì 13 ottobre 2011

Alla scoperta del lato oscuro dell’universo


Martedì scorso la storia della cosmologia ha registrato un duplice successo. Il conferimento del premio Nobel per la fisica 2011 “per la scoperta dell’espansione accelerata dell’Universo attraverso l’osservazione di supernovae lontane” ha premiato il lavoro originale e di avanguardia di due gruppi di ricerca per i loro risultati ottenuti alla fine degli anni novanta. Poche ore dopo, l’Esa (European Space Agency) comunicava di aver deliberato che una delle future missioni spaziali che finanzierà sarà Euclid, un telescopio spaziale con lo scopo di svelare la causa alla base di tale espansione.

Si tratta di due esperimenti sostanzialmente molto diversi. Mentre le missioni insignite del premio Nobel hanno misurato l’evolvere delle distanze nell’Universo osservando la luce emessa in galassie lontane da potenti esplosioni stellari (le supernovae appunto, vedi articolo di C.M.), le osservazioni realizzate da Euclid porteranno alla creazione di una mappa dettagliatissima della distribuzione di milioni di galassie che popolano l’Universo. Da questa mappa sarà possibile ricostruire la storia dell’espansione dell’Universo negli ultimi 10 miliardi di anni, ovvero oltre il 70% dell’età attuale dell’Universo.

L’aspetto che accomuna le due misure è però il loro scopo ultimo: svelare le proprietà del lato oscuro dell’Universo. Infatti, su scale cosmologiche, ovvero estremamente più grandi della nostra galassia, la materia ordinaria contribuisce solo per il 4% al budget totale dell’Universo mentre a costituirne la quasi totalità sono proprio due componenti “esotiche”: la materia e l’energia oscura. Tale materia/energia non è mai stata osservata direttamente perché non emette luce (da qui il termine oscura). Eppure sono evidenti gli effetti indiretti della sua presenza in molte osservazioni astronomiche. È proprio appellandosi all’esistenza di materia ed energia oscura che gli astrofisici cercano di dare una spiegazione coerente al fenomeno dell’espansione accelerata dell’Universo. Comprendere meglio la natura di queste misteriose componenti è uno degli obiettivi chiave della ricerca astronomica dei prossimi anni. E per questo motivo, il finanziamento della missione Euclid rappresenta in sé una vittoria per la comunità astronomica in quanto fornisce le condizioni per lo svolgimento di una ricerca d’alto livello e, ci si augura, per il ripetersi di scoperte epocali.

Bisognerà comunque attendere ancora un po’ prima dei prossimi festeggiamenti perché Euclid è una missione il cui inizio è programmato per il 2019. Dopo il lancio, lo strumento impiegherà circa un mese per raggiungere il luogo d’appostamento, distante circa 1.5 milioni di km dalla Terra. Da lì, per circa 6 anni scruterà il cosmo mappando la posizione delle galassie e comunicherà i relativi dati (dell’ordine di 850 Gbit al giorno!) alle stazioni di controllo e analisi dati dell’Esa. In questi centri e nelle università si confronteranno i modelli teorici e le osservazioni ottenute per ricavare un quadro scientifico della storia dell’evoluzione dell’Universo.

È doveroso chiarire che il premio Nobel per la fisica 2011 dà credito al fatto che l’Universo sia in continua espansione accelerata, cioè che la distanza tra oggetti nell’Universo (come in questo caso le galassie), aumenti continuamente e che lo faccia a velocità crescente, ma non fa alcuna menzione all’energia oscura come causa scatenante di tale espansione. Molto lavoro è, infatti, ancora necessario per poter accertare scientificamente che l’energia (così come la materia) oscura esistano veramente e non siano soltanto un artefatto causato dai modelli teorici usati per la descrizione del cosmo. Le misure di alta precisione che si otterranno con Euclid permetteranno di compiere diversi passi avanti in tale direzione. Parallelamente, una delle frontiere più attuali della fisica è proprio quella di riuscire ad osservare la materia oscura direttamente in laboratorio tramite potenti acceleratori di particelle. Nel frattempo, non mancano altrettanto validi scienziati in tutto il mondo che invece dedicano i loro studi a teorie alternative che possano spiegare il fenomeno dell’espansione accelerata dell’Universo senza ricorrere al concetto di materia ed energia oscura. Quale che sia l’esito di questi studi, si profilano all’orizzonte entusiasmanti scoperte che arricchiranno la nostra consapevolezza delle regole fisiche che governano l’Universo che ci ospita.

MARCELLO CACCIATO

I Nobel che guardano ai segreti delle stelle


C’è un reame affascinante in cui il mondo microscopico, popolato da atomi e particelle ancora più piccole, invisibili costituenti del mondo materiale che percepiamo con i nostri sensi, incontra quello macroscopico, i cui protagonisti sono enormi galassie formate da miliardi di stelle, giganteschi ammassi di migliaia di galassie e ancor più vasti vuoti cosmici.

Questo reame è l’astrofisica, un campo di ricerca che cerca di svelare i misteri dell’Universo indagando sulle scale più grandi e, allo stesso tempo, su quelle più piccole. In questo reame può capitare, per esempio, che lo studio delle reazioni nucleari che avvengono all’interno delle stelle possa fornire preziosi indizi per comprendere qualcosa di immensamente più grande come la dinamica dell’intero Universo e che questo, a sua volta, possa fare luce sulla natura delle particelle elementari che permeano il cosmo. Questo è esattamente ciò che è successo a Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam Riess, i tre astrofisici a cui è stato conferito, lo scorso martedì, il Premio Nobel per la Fisica 2011 per la “scoperta dell’espansione accelerata dell’Universo attraverso l’osservazione di supernovae lontane”.

I tre accademici hanno iniziato le loro carriere, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, andando letteralmente “a caccia” di supernovae, le violentissime esplosioni con cui le stelle terminano la propria esistenza. L’esplosione di una supernova produce così tanta luce ed energia che la stella morente diventa, per qualche settimana, tanto brillante quanto l’intera galassia che la ospita. Alcune supernovae “vicine”, esplosioni di stelle appartenenti alla nostra galassia, la Via Lattea, o a galassie limitrofe, possono essere osservate addirittura ad occhio nudo: esempi celebri sono quella scoperta nel 1054 da alcuni astronomi cinesi e quelle individuate nel 1572 dall’astronomo danese Tycho Brahe e nel 1604 dall’astronomo tedesco Johannes Kepler.

Per osservare supernovae in galassie lontane, invece, occorre adoperare il telescopio e monitorare moltissime galassie per lunghi periodi di tempo, in quanto l’esplosione di una supernova è un evento alquanto raro. Usando i più potenti telescopi disponibili due decenni fa, Perlmutter, Schmidt e Riess hanno scrutato il cielo con pazienza e scovato un gran numero di supernovae in galassie così distanti dalla nostra che la loro luce ha percorso centinaia di milioni di anni-luce prima di arrivare fino a noi.

I loro dati, insieme a studi teorici sulle reazioni nucleari che hanno luogo nelle esplosioni stellari, hanno mostrato che una classe particolare di supernovae, dette “di tipo Ia” in gergo, producono tutte press’a poco la stessa quantità di energia e, quindi, di luce. Questa caratteristica permette di usarle come indicatori di distanza, un’operazione tutt’altro che banale in astronomia. Per una stella o galassia qualsiasi, infatti, non si ha modo di stabilire se essa è brillante perché molto potente o solo perché molto vicina, e gli astronomi devono cercare altri indizi. Le “supernovae di tipo Ia” invece si comportano come delle “candele standard” e la relazione è piuttosto semplice: brillante-vicina, fioca-lontana.

I tre ricercatori insiginiti del prestigioso riconoscimento hanno così usato le loro osservazioni di supernovae in galassie lontane per produrre una sorta di “cartografia” dell’Universo. Inoltre, hanno combinato queste misure con altri dati, ricavando la velocità con cui ognuna di queste galassie si sta allontanando da noi (e da tutte le altre galassie allo stesso tempo) nell’ambito dell’espansione cosmica che ha avuto inizio con il Big Bang circa 13.7 miliardi di anni fa. Lo scopo di questo studio era studiare la dinamica globale dell’Universo. Ciò che si aspettavano i tre astrofisici era di trovare che l’espansione cosmica, rallentata dall’effetto della gravità che attrae i corpi gli uni verso gli altri, procedesse con velocità decrescente. Sorprendentemente, invece, le loro osservazioni hanno rivelato che l’espansione è accelerata e procede, empre più velocemente, sotto la “spinta” di una componente ancora misteriosa che si comporta in modo opposto rispetto alla forza di gravità, la cosiddetta energia oscura.

Questi risultati sono stati pubblicati tra il 1998 e il 1999 da due gruppi di ricerca internazionali, guidati rispettivamente da Perlmutter e da Schmidt e Riess. Durante lo scorso decennio, osservazioni sempre più accurate di un grandissimo numero di supernovae hanno, insieme a molti altri studi complementari, corroborato questa scoperta. L’espansione accelerata dell’Universo è ormai, per gli astrofisici, un fatto assodato. Cosa produca quest’accelerazione, tuttavia, rimane ancora ignoto.

Molti studi teorici ed esperimenti indagano sulla natura fondamentale dell’energia oscura nel mondo microscopico, ovvero nell’ambito della fisica delle particelle. Allo stesso tempo osservazioni ed analisi astronomiche cercano di determinarne, in modo sempre più preciso, l’influenza macroscopica sulla dinamica dell’Universo (vedi articolo di M.C.). Se una risposta a questi quesiti arriverà, sarà sicuramente grazie agli sforzi combinati di migliaia di studiosi impegnati in entrambi i campi nell’instancabile reame dell’astrofisica.

CLAUDIA MIGNONE

giovedì 14 ottobre 2010

Il Belpaese non conquista i cervelli


La scorsa settimana si è celebrata l'annuale cerimonia per il conferimento dei premi Nobel. Futura ha omaggiato l'evento pubblicando due articoli, uno dei quali sul grafene, materiale "bidimensionale" che ha fatto conquistare il premio Nobel a Kostantin Novoselov e Andre Gaim. I due fisici sono di origine russa anche se Novoselov ha cittadinanza inglese e Gaim cittadinanza olandese. Entrambi lavorano presso l'Università di Manchester. Questo fa si che l'orgoglio derivante dall'avere ottenuto un premio così prestigioso vada diviso tra diverse nazioni. La Russia può adesso vantarsi di avere dato i natali ad altri due premi Nobel (raggiungendo così quota 23). I Paesi Bassi hanno già aggiunto Gaim alla loro (relativamente lunga) lista raggiungendo così quota 19. Infine l'Università di Manchester può ora vantare 25 premi Nobel, nonostante i recenti tagli ai finanziamenti per la ricerca attuati dal governo britannico.

Uno scenario così internazionale è da considerarsi come classico esempio delle dinamiche che caratterizzano la ricerca scientifica soprattutto negli ultimi decenni. Gli istituti di ricerca sono dei veri e propri luoghi di raccolta di persone capaci e brillanti a prescindere dalla loro nazionalità. E queste stesse persone prima di approdare in un istituto dove si stabilizzano hanno raccolto per diversi anni esperienze lavorative in molti altri Paesi. I premi Nobel per la fisica 2010 esemplificano appunto questi aspetti. In genere, uno sguardo alle statistiche di famigerate università (ad esempio Columbia, Cambridge e Chicago) rivela che questo carattere squisitamente internazionale è tipico: spesso questi centri di ricerca sono il luogo in cui accademici di diverse nazionalità svolgono le loro ricerche di punta.

Volgiamo adesso lo sguardo al nostro Belpaese cercando di capire come si mostra da questa prospettiva. L'Italia ha dato i natali a 20 premi Nobel. Vogliamo soffermarci solo sui 12 che rientrano nella categoria di ricerca scientifica (fisica, chimica, fisiologia e medicina). Di questi quasi tutti hanno svolto ricerca in istituti italiani anche se non mancano le eccezioni. Si prenda, ad esempio, il caso del premio Nobel per la fisica 2002 Riccardo Giacconi che dopo la laurea all'università di Milano è sbarcato oltreoceano e ha condotto l'intera carriera scientifica negli Stati Uniti (tanto da prenderne la cittadinanza). Probabilmente, questo caso rientra nel tristemente famoso effetto "fuga-di-cervelli" che vede l'Italia svuotarsi di molti scienziati ambiziosi e capaci che vanno in altri Paesi alla ricerca di stimoli e riconoscimenti.

I dati sui Nobel italiani però nascondono un altro allarmante fenomeno. Infatti, sono solo 5 le università italiane (Pisa, Roma, Torino, Bologna e Milano) che possono vantare dei Nobel tra i loro accademici. E si noti che i Nobel di queste università sono italiani (Fermi, Rubbia, Montalcini solo per menzionarne alcuni). Cose ne è di quel paradigma internazionale a cui facevamo riferimento all'inizio dell'articolo? Se le dinamiche internazionali sono ormai intrinseche nelle modalità scientifiche moderne, perchè l'Italia ne è fuori? Quando ci sarà dato gioire perchè una struttura italiana ha ospitato uno scienziato straniero permettendogli di svolgere un progetto da premio Nobel?

Il problema è quindi duplice. Da un lato sempre più studiosi italiani lasciano l'Italia, dall'altro sempre meno studiosi stranieri sbarcano in Italia per svolgere le loro ricerche. È un'immagine chiara. In queste condizioni, l'Italia è un lago destinato a prosciugarsi: un flusso sempre crescente in uscita e un afflusso quasi nullo. Questo non può che portare ad un paesaggio scientificamente arido in tempi brevissimi. Paradossalmente, una semplice soluzione porterebbe rapidi cambiamenti. Infatti, un finanziamento adeguato dei centri di ricerca ridurebbe inevitabilmente il flusso di ricercatori italiani verso l'estero. E allo stesso tempo, darebbe visibilità in un panorama internazionale alla ricerca svolta in Italia rendendo il Belpaese una possibile scelta per un'immigrazione qualificata e continua e non solo per il turismo mordi-e-fuggi. Il meccanismo potrebbe subito entrare a regime e auto-incentivarsi. Basterebbe vedere al di là delle contingenze momentanee ed investire nel campo della ricerca. Il lago da arido, potrebbe addirittura straripare. Basterebbe volerlo, piuttosto che aspettare la pioggia.

MARCELLO CACCIATO

giovedì 7 ottobre 2010

Fisica: due dimensioni per un Nobel

Il premio agli scienziati Andrei Geim e Konstantin Novoselov per la scoperta del grafene, materiale delle meraviglie

Due giorni fa, martedì 5 ottobre, è stato annunciato il conferimento del Premio Nobel per la Fisica 2010 a Andrei Geim e Konstantin Novoselov, due scienziati di origine russa che lavorano presso l'Università di Manchester, nel Regno Unito. A motivare il prestigioso riconoscimento, anni di ricerca e di esperimenti che hanno portato, nel 2004, alla scoperta del grafene, un materiale dalle proprietà a dir poco sbalorditive e dalle molteplici applicazioni tecnologiche, che spaziano dall'elettronica all'ingegneria biomedica.

Questo materiale 'delle meraviglie' non è altro che una forma del carbonio. La novità è nel fatto che, nel grafene, il carbonio è disposto in fogli sottilissimi, dello spessore di un singolo atomo: si tratta in pratica di un materiale bidimensionale. Nel nostro mondo a tre dimensioni, uno spessore così piccolo è praticamente impossibile da immaginare: se impilassimo uno sopra l'altro circa un milione di fogli di grafene, si raggiungerebbe lo spessore di un comune foglio di carta! È proprio a causa della sua infinitesima terza dimensione che questo materiale, la cui esistenza era stata predetta già nel 1947, ha richiesto decenni prima di poter essere isolato in laboratorio.

A seconda del modo in cui gli atomi di carbonio si legano tra loro, questo elemento dà luogo ad una serie di materiali diversi, i più famosi tra i quali sono il diamante e la grafite. Nel diamante, gli atomi di carbonio formano un cristallo resistentissimo disponendosi in una struttura la cui unità di base è il tetraedro—un solido con quattro facce triangolari. La grafite, che si può trovare all'interno delle matite, è invece molto diversa dal diamante, benché entrambi siano formati da atomi di carbonio. Nella grafite, gli atomi si dispongono in una serie di strati con una struttura a nido d'ape, dove l'unità di base è l'esagono, e i vari strati sono tenuti insieme tra di loro da legami tra gli elettroni che appartengono ai vari atomi; i legami che tengono uniti gli atomi in ciascuno strato sono molto più forti di quelli che tengono insieme i vari strati, ed è per questo che, al contrario del diamante, la grafite si sfalda facilmente.

Il grafene consiste in un singolo strato di quelli che costituiscono la struttura della grafite, in un modo che ricorda vagamente gli strati di un wafer. In molti sospettavano che, una volta isolata, una simile struttura a due dimensioni si sarebbe arrotolata su se stessa e non sarebbe rimasta stabilmente in forma piana. Geim e Novoselov, invece, hanno perseverato per anni nella loro ricerca, finché nel 2004 hanno messo a punto un esperimento apparentemente molto semplice: hanno infatti utilizzato del comune nastro adesivo ed un pezzo di grafite e, con il nastro adesivo, sono riusciti a strappare alla grafite strati di carbonio dello spessore di un solo atomo—il grafene, appunto.

Grazie al modo in cui i suoi atomi sono disposti, il grafene è un ottimo conduttore sia di elettricità che di calore, ed ha quindi trovato applicazione immediata nell'industria elettronica; inoltre, ha proprietà di semi-conduttore e per questo può essere utilizzato nella produzione di transistor. Studi recenti hanno dimostrato che questo materiale è anche il più resistente al mondo, ma al contempo è estremamente malleabile ed in aggiunta è praticamente trasparente: per questi motivi, risulta quanto mai adatto alla realizzazione di schermi e display.

I registi della scoperta sono entrambi nati in Unione Sovietica e hanno lavorato insieme per molti anni, prima a Nijmegen, in Olanda, dove Novoselov ha conseguito il suo dottorato proprio sotto la guida di Geim, e poi presso l'Università di Manchester. Alla scoperta del grafene sono arrivati nel tipico modo che è alla base della ricerca scientifica: tentando soluzioni nuove e sempre diverse, che a volte funzionavano ed altre volte no, ma che portavano sempre ad imparare qualcosa che si ignorava in precedenza. In questo caso, gli sforzi si sono rivelati di estremo successo: già nel 2008 gli scopritori del grafene erano tra i favoriti per il premio Nobel, che è infine arrivato nel 2010. Il comitato della fondazione Nobel ha premiato in particolare la geniale creatività che ha caratterizzato molti dei loro esperimenti, e che ha condotto ad una scoperta rivelatasi poi di enorme importanza per un numero sempre crescente di applicazioni alla vita di tutti i giorni.

Sin dalla scoperta, Geim e Novoselov si sono anche dimostrati estremamente aperti nel condividere con il resto della comunità scientifica i loro risultati, come riportato nel sito PhysicsWorld.com dell'Institute Of Physics, dove si racconta anche come i due abbiano formato una generazione di nuovi fisici, invitando numerosi scienziati presso l'Università di Manchester e mettendo a loro disposizione le conoscenze da essi acquisite sui metodi per produrre il grafene. Per omaggiarli, l'Institute Of Physics ha deciso di aprire l'accesso a tutti gli articoli scientifici pubblicati dai due fisici sulle riviste specialistiche edite da questa istituzione.

Oltre alle congratulazioni di fisici e scienziati di tutto il mondo, su Geim e Novoselov sono puntati gli occhi dell'intera comunità scientifica britannica. Nel Regno Unito, infatti, la ricerca scientifica e le istituzioni universitarie sono al momento minacciate da pesantissimi tagli nei finanziamenti. Numerose sono le campagne di protesta in atto contro questi provvedimenti, tra cui l'operazione Science is Vital, che vedrà migliaia di scienziati e membri della società civile sfilare per le strade di Londra il prossimo sabato 9 ottobre.

Dopo il conferimento del Nobel a due eccellenti professori di un'università britannica, sono in molti a sperare che il prestigioso riconoscimento, premiando non soltanto una scoperta dalle molteplici applicazioni industriali e tecnologiche ma anche gli intensi sforzi e le lunghe ricerche che l'hanno preceduta, porti un messaggio alla politica, mostrando ancora una volta il valore immenso della ricerca scientifica all'interno della società.

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine in alto, Andrei Geim e Konstantin Novoselov (Foto di Russell Hart/Univesity of Manchester); al centro, la struttura bidimensionale del grafene (Fonte: Wikimedia Commons); in basso, il logo dell'iniziativa Science is Vital.

giovedì 23 settembre 2010

Napoli, 4 giorni da capitale delle stelle


All'Osservatorio Astronomico di Capodimonte si apre questo pomeriggio il 48esimo Congresso Nazionale dell'Unione Astrofili Italiani (UAI), l'associazione che raccoglie gli appassionati di astronomia del nostro paese. Organizzato dall'Unione Astrofili Napoletani (UAN), il congresso durerà 4 giorni, da oggi fino a domenica 26 settembre.

L'evento corona un intero anno, il 2010, che ha visto la città di Napoli protagonista nazionale nel campo dell'astronomia. In maggio si è infatti tenuto, sempre presso l'Osservatorio di Capodimonte, il LIV Congresso della Società Astronomica Italiana, mentre da marzo a luglio la Città della Scienza ha ospitato la mostra itinerante Astri e particelle, a cura dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica e dell'Agenzia Spaziale Italiana. Queste ed altre manifestazioni, parte del programma di 'Napoli Astronomia 2010', hanno portato avanti, con successo, il sodalizio consolidatosi tra astronomi, astrofili, divulgatori ed il grande pubblico durante il corso del 2009, dichiarato dall'Onu Anno Internazionale dell'Astronomia.

"L'idea di proporre l'UAN e Napoli per il Congresso Nazionale di Astrofili è nata oltre un anno fa," racconta Lino Manfredi, vicepresidente dell'associazione di appassionati di astronomia napoletani. "La preparazione dell'evento è stata molto impegnativa, anche perché non ci siamo accontentati di organizzare semplicemente il congresso, ma abbiamo voluto aprire le porte al territorio," continua Manfredi. Infatti, le sessioni più strettamente tecniche del congresso saranno affiancate da una ricca costellazione di eventi per il pubblico nel panorama d'eccezione offerto dalll'Osservatorio di Capodimonte, che ospita anche la sede dell'UAN.

Tra gli eventi in programma per stringere il legame con il grande pubblico e mostrare a tutti le meraviglie del cielo, sono previsti: visite all'Osservatorio, con due osservazioni guidate del cielo notturno attraverso i telescopi dell'associazione (giovedì e venerdì sera, dalle ore 21 alle ore 23) ed una osservazione del Sole (sabato mattina, dalle ore 9 alle ore 13); uno stravagante concerto di musica classica dal titolo Atlas Coelestis, la musica e le stelle, a cura di Giovanni Renzo (venerdì sera alle ore 20); una mostra fotografica e multimediale, una mostra d'arte con l'esposizione di una dozzina di quadri di ispirazione astronomica, ed infine una mostra filatelica, accompagnata da uno speciale annullo postale.

Per quanto riguarda le attività del congresso, il programma comprende una serie di sessioni tematiche, che spaziano da argomenti di ricerca nel campo dell'astronomia ed astrofisica a questioni di carattere più sociale quali l'importanza della divulgazione e della didattica di queste materie. Al congresso prenderanno parte anche astronomi ricercatori presso l'Inaf-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Napoli, e presso il Dipartimento di Scienze Fisiche dell'Università di Napoli, coinvolti sia direttamente, con conferenze incentrate sui temi della loro ricerca, che indirettamente, come tutor di astrofili relatori.

Gli argomenti presentati copriranno tutte le scale cosmiche, a partire dal nostro Sistema Solare, con la formazione di stelle e pianeti e l'esplorazione di uno dei corpi celesti a noi più vicini, Marte, passando per la vita e morte delle stelle, lo studio della nostra Galassia e di altre galassie, sempre più lontane. La cosmologia, ovvero lo studio dell'Universo nella sua totalità, sarà oggetto di un intervento del Prof. John Gribbin, dell'Università del Sussex, nel Regno Unito. Il Prof. Gribbin è un celebre divulgatore dell'astronomia e presenterà il suo nuovo libro, Alla ricerca del Multiverso, Sabato 25 settembre alle ore 19. Il libro affronta una serie di domande fondamentali sulla nascita ed evoluzione del cosmo, inclusa l'ipotesi del Multiverso, cioè la possibilità che il nostro Universo sia di fatto soltanto uno fra tanti universi paralleli.

La comunicazione della scienza, e in questo caso dell'astronomia, al grande pubblico è un argomento centrale nei rapporti tra gli scienziati ed il resto della società: in questo processo, gli appassionati di astronomia svolgono un ruolo di notevole importanza. L'insegnamento dell'astronomia, il valore della divulgazione scientifica e le attuali prospettive di dialogo tra scienza e società saranno gli argomenti delle conferenze che si terranno venerdì 24 Settembre, insieme ad altre sessioni incentrate su tematiche quali l'inquinamento luminoso e la storia dell'astronomia.

Una sessione particolarmente originale è prevista per sabato pomeriggio, dal titolo Lei è un'astrofila - L'astrofilia dell'altra metà del cielo. "Questa sessione è stata fortemente voluta da Anna Maria Saccà, responsabile della sezione Divulgazione e Didattica dell'associazione," spiega Concetta Bennici, socia UAN ed ex insegnante di matematica e fisica nei licei, che durante il congresso racconterà i risultati della sua ricerca sul complesso ruolo delle donne nel campo dell'astronomia, sia intesa come professione che come semplice passione, appunto, da astrofila.

Per saperne di più: Napoli Astronomia 2010

CLAUDIA MIGNONE

Nell'immagine, il panorama di Napoli visto dalla suggestiva cornice dell'Osservatorio di Capodimonte. (Foto UAN)

lunedì 31 maggio 2010

Scienza e crisi


Negli ultimi giorni si è parlato molto, in Italia, di tagli alla spesa pubblica e una nuova manovra sta per essere varata proprio in queste ore. La scorsa settimana indiscrezioni non troppo discrete annunciavano, fra gli altri, la soppressione di svariati istituti di ricerca, ritenuti "inutili" e quindi non degni di continuare ad esistere. Tra essi, l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Questo blog, da oltre un anno, cerca di fare un po' di informazione (più che di comunicazione) proprio su argomenti di astronomia e astrofisica. La situazione merita quindi un post eccezionale, di lunedì invece del solito giovedì, e quindi svincolato da Futura. Anzi, per l'occasione rimandiamo i lettori a un bel post scritto, sulla vicenda, da un'altra astrofisica, Eleonora Presani, che anche si occupa di comunicazione della scienza attraverso il blog Appunti digitali.

La scienza nell’Italia della crisi
di Eleonora Presani - lunedì 31 maggio 2010

Oggi mi sento in dovere di raccontare al pubblico di Appunti Digitali le decisioni che il governo italiano sta per prendere nel decreto legge del 26 Maggio (art. 7), in cui si discute la “soppressione e incorporazione di enti ed organismi pubblici”. L’intera manovra è molto discussa, ma in questo post mi limito a spiegare quello che sta succedendo alla ricerca, sperando di portare ad una riflessione. [leggi tutto]

------

La manovra è in fase di discussione finale e le notizie di questa mattina sembrano indicare che molti di questi istituti, grazie anche alla mobilitazione di scienziati e parte della società civile, continueranno ad esistere. Ma continuiamo a stare vigili. E soprattutto, continuiamo a respirare. "Perché quando si annega il fiato è prezioso, e ciascuno è impegnato soltanto a salvarsi." [cit. A.Bajani]

giovedì 6 maggio 2010

Eclissi in miniatura per scoprire nuovi mondi


Le eclissi solari sono senza dubbio un evento affascinante e spettacolare: la Luna si frappone fra il Sole e la Terra nascondendo parzialmente o totalmente agli osservatori, per alcuni minuti, il disco solare. Quando l'eclissi è totale, la parte più esterna dell'atmosfera del Sole, chiamata corona solare, diventa visibile.

Negli anni trenta del secolo scorso, l'astronomo francese Bernard Lyot sviluppò un sistema di maschere per simulare, ottimizzandolo, l'effetto di un'eclissi totale, al fine di studiare meglio e più a lungo la corona solare. Chiamò il suo strumento "coronografo". Con il progresso della tecnologia, si è pensato di "miniaturizzare" e raffinare i coronografi per mascherare non più la luce del Sole, ma quella delle stelle lontane, ed esplorarne così le vicinanze per cercare la presenza di uno o più pianeti.

Al giorno d'oggi esistono molti tipi diversi di coronografo: alcuni cercano di concentrare tutta la luce della stella nella sua zona centrale, per mascherarla più efficacemente; altri cercano di sfruttare il fatto che la luce è composta da onde, ed è possibile farle interferire per annullarle a vicenda: se infatti le creste di queste onde sono perfettamente allineate, allora la loro somma sarà un'onda luminosa più intensa; se al contrario la cresta di una delle onde è allineata con la gola di un'altra, la somma di queste onde sfasate sarà un'onda di intensità nulla.

Ulteriori tipi di coronografo sono in fase di studio, e prevedono di recuperare con un sistema di lenti la luce concentrata e mascherata, e registrarne l'immagine su un ologramma. L'ologramma è un dispositivo che consente di registrare non solo l'intensità della luce, come avverrebbe in una normale fotografia, ma anche l'informazione relativa alla posizione delle creste e delle gole delle onde luminose, che possono essere più o meno sfasate. Queste onde di luce recuperate dalla maschera, che appartengono alla luce della stella, vengono sottratte alla luce passata attraverso il coronografo, che appartiene sia alla stella che ad un eventuale pianeta. Le onde di luce della stella si annullano, mentre la luce del pianeta, che è sfasata rispetto a quella della stella, non viene cancellata e il pianeta diventa visibile.

Finora sono stati scoperti oltre 400 pianeti extra-solari utilizzando svariati metodi. Alcuni di essi, quelli orbitano intorno ad astri relativamente vicini, sono già stati osservati utilizzando i coronografi: si tratta di pianeti simili al nostro Giove in termini di distanza dalla stella ed intensità della luce riflessa. La difficoltà nell'osservare pianeti simili alla Terra sta appunto nella piccola distanza e nella debolezza della luce.


Facciamo un esempio: a 36 anni luce da noi si trova una stella di nome Gliese 436, provvista di un pianeta. Immaginiamo che questo pianeta ospiti una colonia di alieni che, curiosi del cosmo come noi, si siano equipaggiati con un telescopio analogo al telescopio spaziale Hubble. Se questi alieni puntassero il loro potente strumento in direzione del nostro Sole, la Terra risulterebbe dieci miliardi di volte meno luminosa di esso. E se questo non fosse già sufficiente a rendere estremamente difficile l'osservazione della Terra intorno al Sole, c'è da aggiungere che la distanza in cielo dei due astri sarebbe piccolissima: appena quattro decimillesimi di grado (per confronto, la Luna misura circa mezzo grado). Sarebbe come cercare di osservare dalla Corsica una lucciola posta a dieci centimetri dalla Lanterna di Genova! Se però questi alieni avessero a disposizione un coronografo di ultima generazione, sicuramente si potrebbero accorgere, se non di noi, almeno del nostro piccolo pianeta.

Nell'attesa di ricevere eventuali notizie dai curiosi alieni del pianeta Gliese 436B, sta a noi cercare di migliorare le prestazioni dei coronografi e di altri, interessanti strumenti (come per esempio gli interferometri, cioè reti di telescopi collegati fra loro per avere immagini con una risoluzione sempre maggiore), tutto ciò per spingerci ancora più in profondità e cercare pianeti ancora più vicini alla loro stella, ancora meno luminosi, intorno a stelle ancor più lontane, e cercare di capire quanto gli altri sistemi solari siano simili al nostro.

DAVIDE RICCI

Nelle immagini, lo schema del funzionamento di un coronografo per individuare pianeti intorno ad altre stelle mediante l'uso di un ologramma (in alto), e un'immagine dell'osservazione diretta di tre pianeti attorno alla stella HR8799 (in basso), effettuata usando un particolare tipo di coronografo detto "a vortice vettoriale", che sfrutta il fenomeno dell'interferenza per annullare la luce della stella (NASA/JPL-Caltech/Palomar Observatory). La scoperta, di E. Serabyn, D. Mawet & R. Burruss, è stata annunciata nel numero del 15 Aprile 2010 della rivista Nature.