giovedì 13 ottobre 2011

I Nobel che guardano ai segreti delle stelle


C’è un reame affascinante in cui il mondo microscopico, popolato da atomi e particelle ancora più piccole, invisibili costituenti del mondo materiale che percepiamo con i nostri sensi, incontra quello macroscopico, i cui protagonisti sono enormi galassie formate da miliardi di stelle, giganteschi ammassi di migliaia di galassie e ancor più vasti vuoti cosmici.

Questo reame è l’astrofisica, un campo di ricerca che cerca di svelare i misteri dell’Universo indagando sulle scale più grandi e, allo stesso tempo, su quelle più piccole. In questo reame può capitare, per esempio, che lo studio delle reazioni nucleari che avvengono all’interno delle stelle possa fornire preziosi indizi per comprendere qualcosa di immensamente più grande come la dinamica dell’intero Universo e che questo, a sua volta, possa fare luce sulla natura delle particelle elementari che permeano il cosmo. Questo è esattamente ciò che è successo a Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam Riess, i tre astrofisici a cui è stato conferito, lo scorso martedì, il Premio Nobel per la Fisica 2011 per la “scoperta dell’espansione accelerata dell’Universo attraverso l’osservazione di supernovae lontane”.

I tre accademici hanno iniziato le loro carriere, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, andando letteralmente “a caccia” di supernovae, le violentissime esplosioni con cui le stelle terminano la propria esistenza. L’esplosione di una supernova produce così tanta luce ed energia che la stella morente diventa, per qualche settimana, tanto brillante quanto l’intera galassia che la ospita. Alcune supernovae “vicine”, esplosioni di stelle appartenenti alla nostra galassia, la Via Lattea, o a galassie limitrofe, possono essere osservate addirittura ad occhio nudo: esempi celebri sono quella scoperta nel 1054 da alcuni astronomi cinesi e quelle individuate nel 1572 dall’astronomo danese Tycho Brahe e nel 1604 dall’astronomo tedesco Johannes Kepler.

Per osservare supernovae in galassie lontane, invece, occorre adoperare il telescopio e monitorare moltissime galassie per lunghi periodi di tempo, in quanto l’esplosione di una supernova è un evento alquanto raro. Usando i più potenti telescopi disponibili due decenni fa, Perlmutter, Schmidt e Riess hanno scrutato il cielo con pazienza e scovato un gran numero di supernovae in galassie così distanti dalla nostra che la loro luce ha percorso centinaia di milioni di anni-luce prima di arrivare fino a noi.

I loro dati, insieme a studi teorici sulle reazioni nucleari che hanno luogo nelle esplosioni stellari, hanno mostrato che una classe particolare di supernovae, dette “di tipo Ia” in gergo, producono tutte press’a poco la stessa quantità di energia e, quindi, di luce. Questa caratteristica permette di usarle come indicatori di distanza, un’operazione tutt’altro che banale in astronomia. Per una stella o galassia qualsiasi, infatti, non si ha modo di stabilire se essa è brillante perché molto potente o solo perché molto vicina, e gli astronomi devono cercare altri indizi. Le “supernovae di tipo Ia” invece si comportano come delle “candele standard” e la relazione è piuttosto semplice: brillante-vicina, fioca-lontana.

I tre ricercatori insiginiti del prestigioso riconoscimento hanno così usato le loro osservazioni di supernovae in galassie lontane per produrre una sorta di “cartografia” dell’Universo. Inoltre, hanno combinato queste misure con altri dati, ricavando la velocità con cui ognuna di queste galassie si sta allontanando da noi (e da tutte le altre galassie allo stesso tempo) nell’ambito dell’espansione cosmica che ha avuto inizio con il Big Bang circa 13.7 miliardi di anni fa. Lo scopo di questo studio era studiare la dinamica globale dell’Universo. Ciò che si aspettavano i tre astrofisici era di trovare che l’espansione cosmica, rallentata dall’effetto della gravità che attrae i corpi gli uni verso gli altri, procedesse con velocità decrescente. Sorprendentemente, invece, le loro osservazioni hanno rivelato che l’espansione è accelerata e procede, empre più velocemente, sotto la “spinta” di una componente ancora misteriosa che si comporta in modo opposto rispetto alla forza di gravità, la cosiddetta energia oscura.

Questi risultati sono stati pubblicati tra il 1998 e il 1999 da due gruppi di ricerca internazionali, guidati rispettivamente da Perlmutter e da Schmidt e Riess. Durante lo scorso decennio, osservazioni sempre più accurate di un grandissimo numero di supernovae hanno, insieme a molti altri studi complementari, corroborato questa scoperta. L’espansione accelerata dell’Universo è ormai, per gli astrofisici, un fatto assodato. Cosa produca quest’accelerazione, tuttavia, rimane ancora ignoto.

Molti studi teorici ed esperimenti indagano sulla natura fondamentale dell’energia oscura nel mondo microscopico, ovvero nell’ambito della fisica delle particelle. Allo stesso tempo osservazioni ed analisi astronomiche cercano di determinarne, in modo sempre più preciso, l’influenza macroscopica sulla dinamica dell’Universo (vedi articolo di M.C.). Se una risposta a questi quesiti arriverà, sarà sicuramente grazie agli sforzi combinati di migliaia di studiosi impegnati in entrambi i campi nell’instancabile reame dell’astrofisica.

CLAUDIA MIGNONE

Nessun commento:

Posta un commento