giovedì 10 settembre 2009

Aggirare l’atmosfera con l’ottica adattiva


Guardare il mare e cercare di osservarne il fondale è sempre un po' difficoltoso. Lo è sia con l'acqua limpida che con quella torbida, sia col mare calmo che con quello agitato. Al variare del tempo, la luce riflessa dal fondale viene continuamente deviata in modo casuale dalle perturbazioni dovute alle increspature della superficie, e chi volesse a tutti i costi guardarlo così com'è veramente, senza che l'immagine venga distorta dalle onde, sarebbe costretto a piazzarsi sotto il pelo dell'acqua, provvisto di una buona maschera.

In astronomia la situazione è analoga: l'oggetto di studio degli scienziati (quello che poco fa è stato presentato come il fondale), viene osservato con l'ausilio di uno strumento, il telescopio (la maschera) e attraverso l'atmosfera (la superficie del mare). Ed è proprio la presenza dell'atmosfera che degrada la qualità dell'immagine e fa sì che l'oggetto di studio appaia come in una fotografia a bassa risoluzione.

L'astronomo che volesse studiare l'Universo senza l'interferenza dell'atmosfera non avrebbe alternativa se non quella di posizionare i telescopi in una posizione privilegiata, e cioè in orbita, oltre l'atmosfera stessa. Questa soluzione, benché già adottata, presenta notevoli limitazioni: i costi di realizzazione e manutenzione sono elevatissimi; i lunghi tempi di progettazione e costruzione determinano di fatto la messa in orbita di una tecnologia superata al momento del lancio; infine, le dimensioni dello strumento sono limitate dalle capacità dei razzi e dello Shuttle.

Negli ultimi decenni, però, è maturata una tecnica che si basa su sistemi capaci di sondare istante per istante le deformazioni indotte dalla turbolenza atmosferica: le informazioni così elaborate vengono immediatamente inviate ad uno specchio capace di deformarsi “in tempo reale” per correggere le perturbazioni dell'atmosfera. Questa tecnica si chiama “ottica adattiva”.

Ma come funziona? La luce proveniente da un oggetto astronomico lontano (stella, galassia) passa attraverso il telescopio fino ad arrivare ad uno specchio, chiamato specchio deformabile (di cui parleremo fra poco), ed infine giunge ad un particolare tipo di vetro capace di separare il fascio di luce in due frazioni: una parte della luce è quella effettivamente studiata dagli astronomi, la seconda parte viene riflessa verso uno strumento chiamato sensore di fronte d'onda.


Il sensore di fronte d'onda divide il fascio di luce in varie parti per ottenere, tramite semplici operazioni matematiche, informazioni sulla struttura turbolenta della porzione di atmosfera che è stata attraversata dalla luce. Queste informazioni vengono elaborate e tradotte in una serie di impulsi elettrici che sono poi applicati, tramite speciali martinetti, allo specchio deformabile menzionato prima. Questo specchio, in genere sottilissimo, prende istantaneamente una forma contraria a quella della turbolenza atmosferica, e corregge perciò il cammino della luce. A causa della rapida variabilità dell’atmosfera, una correzione efficace deve essere svolta continuamente e nel minor tempo possibile - un tempo che va da 1 a 15 millesimi di secondo.

L'ottica adattiva è usata oramai in molti telescopi in tutto il mondo, e permette di sfruttare al massimo le potenzialità di questi strumenti per ottenere immagini ad altissima risoluzione, migliorando le prestazioni dalle 10 alle 150 volte, e raggiungendo risultati paragonabili a quelli del telescopio spaziale Hubble.

DAVIDE RICCI

Lo schema di un sistema di ottica adattiva (a sinistra) e i risultati ottenuti con e senza l'uso di questa tecnica (a destra). L'immagine rossa in alto rappresenta un sistema formato da due stelle, osservato con l'ottica adattiva: le due stelle sono chiaramente distinte, mentre non sono più distinguibili nell'immagine in basso, ottenuta senza l'uso di ottica adattiva. Immagine dell'Istituto di Astronomia delle Hawaii.

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