Nell'augurare buone vacanze ai nostri lettori, consigliamo di ammirare il fenomeno delle Perseidi, ovvero le cosiddette "stelle cadenti di San Lorenzo", che ha il culmine tra il 10 e il 12 Agosto. La rubrica ritornera' a Settembre con una spiegazione di questo fenomeno e molte altre notizie astronomiche.
giovedì 30 luglio 2009
giovedì 23 luglio 2009
L'uomo e la scienza, oltre la Luna
Sono passati quarant'anni dalla notte in cui l'uomo mise per la prima volta piede sulla Luna. E innumerevoli sono gli articoli, le immagini, gli approfondimenti, che oggi cercano di raccontarci quella storia, le sue origini e la sua eredità.
Leggeremo dell'eterna competizione tra Stati Uniti e Russia, quest'ultima fu la prima non solo a lanciare un satellite ma anche a mandare un uomo nello spazio. Scopriremo che molte sono le persone che per questo credono che nessuno sia mai allunato, che sia stata solo un'invenzione americana a scopo propagandistico.
I meno scettici cercheranno di capire come sia stato possibile con le tecnologie dell'epoca arrivare fino a lì, quale spinta sia necessaria dalla Terra, che manovre per essere catturati dalla Luna e che strategia sia stata adottata per atterrare e poi ripartire.
Vi racconteranno le emozioni e le paure di quei due astronauti che hanno toccato il suolo lunare, di colui che rimase ad aspettarli orbitando intorno alla Luna e di tutte le persone a Terra che avevano reso possibile l'impresa.
Conosceremo cos'hanno trovato e cos'hanno lasciato, la bandiera, il sismografo, quanti chili di terreno hanno portato a casa, come hanno saltato nella polvere, com'erano lenti i loro movimenti, che tipo di paesaggio i loro occhi hanno ammirato.
Citeranno i nomi di coloro che hanno fatto lo stesso in missioni successive, ci diranno che nessun russo è mai arrivato a compiere la stessa impresa e che da più di trent'anni nessun uomo è tornato su quelle terre.
Descriveranno con gran dettaglio tutte le missioni che stanno orbitando in questo momento intorno alla Luna, missioni internazionali, non solo opera della NASA, ma anche delle potenze economiche del nostro secolo, Cina e Giappone in primis.
Ci spiegheranno perché ora l'esplorazione lunare riceve un nuovo impulso, di tutti i misteri che ancora rimangono da scoprire riguardo l'origine e l'evoluzione della Luna, del sogno di installare lì una base umana per magari partire alla volta di Marte.
Scopriremo che non tutti sono d'accordo con quest'idea, meglio concentrare tutte le forze per arrivare a Marte direttamente da qui, troppo complicato e dispendioso creare sostentamento per un insediamento umano in un luogo dove ancora non si ha la certezza di trovare acqua, dove l'escursione termica è molto elevata, per non parlare di tutta l'energia che sarebbe necessaria.
Von Braun pensava che dopo quel giorno arrivare a Marte sarebbe stato molto semplice, nel 1985 già sarebbe stato possibile secondo la sua predizione. Oriana Fallaci, d'altra parte, affermava "Ora che lo spettacolo paradossale è finito, il dramma concluso, e i confini della nostra intelligenza e della nostra storia si sono allargati fino al Mare della Tranquillità, ci sentiamo come assuefatti all'idea di possedere la Luna e quasi sorridiamo delle nostre ansie e dei nostri timori: non era poi così difficile, dicono alcuni, si accende un fiammifero e via. Ci si abitua a tutto, anche al miracolo d'essere usciti dalla nostra prigione di azzurro per approdare a quell'isola brutta: presto ce ne scorderemo, come abbiamo scordato il miracolo del primo pesce che uscì dalle acque per approdare alla terra e diventare un uomo".
Ma da un altro punto di vista, quel giorno può essere paragonato al giorno in cui Cristoforo Colombo raggiunse le "Indie". In quel caso, non c'era la consapevolezza di un nuovo mondo, ma comunque il desiderio di aprire una nuova strada, di esplorare possibilità sconosciute e di comprendere qualcosa in più della realtà circostante. La ricerca spaziale dà questa opportunità, una visione d'insieme, uscire dal nostro piccolo e complicato, seppure meraviglioso, pianeta, per conoscere qualcosa di diverso o forse non poi così tanto, per vederci da fuori e magari collocarci in qualcosa di infinitamente grande. Al di là della storia, della fisica e della matematica, arrivare alla Luna aveva rappresentato questo.
ELISA MARIA ALESSI
ELISA MARIA ALESSI
giovedì 16 luglio 2009
La ricerca di pianeti extrasolari dallo spazio
Ovviamente si ha poi la curiosità di sapere se esistono altri sistemi planetari simili al nostro e in particolare, se esiste la possibilità di vita in qualcuno di essi. Sorge spontaneo chiedersi quali fattori siano stati responsabili della vita sulla Terra e se essi rappresentino una regola oppure un'eccezione. In realtà la scienza non è ancora in grado di dare una definizione di ‘vita’, soprattutto perché non è chiaro quali siano gli elementi davvero imprescindibili per la sua nascita. Un organismo vivente dovrebbe in principio essere capace di riprodursi e consumare energia, ma come si spiega per esempio che i virus rimangono inattivi e apparentemente morti per lunghi periodi di tempo?
Come sempre in presenza di tante incognite, si parte dalla ricerca di qualcosa che sia molto simile a ciò che già si conosce. Ecco dunque che la grande sfida consiste nel trovare pianeti ‘come la Terra’, in termini di vicinanza alla stella, diametro e composizione. La vita si svilupperà verosimilmente su una superficie solida e in un'atmosfera ricca di ossigeno. D'altra parte, un pianeta troppo vicino o troppo lontano dalla corrispondente stella risulterà essere troppo caldo (o freddo) per avere acqua allo stato liquido. Dalla Terra non è possibile rilevare pianeti di questo tipo, soprattutto a causa dell'atmosfera che limita la precisione delle osservazioni. Lo spazio è il posto più adatto per misure tanto sensibili e oltretutto permette lunghi periodi di osservazione ininterrotta.
CoRoT (Convection, Rotation and planetary Transits) è stata la prima missione che si è occupata di cercare pianeti come la Terra intorno ad altre stelle. È stata lanciata alla fine del 2006 e si muove su un'orbita con inclinazione polare a 896 km dalla superficie terrestre. Sfrutta il metodo del transito, individua cioè un pianeta quando passa di fronte alla stella ostacolandone una parte di luce. Il telescopio (30 cm) montato sulla sonda scruta due ampie regioni del cielo, una opposta all'altra per circa 150 giorni ciascuna. In tutto analizzerà i segnali provenienti da circa 12000 stelle.
Finora ha scoperto diversi pianeti del tipo Giove, cioè grandi, gassosi e a una significativa distanza dalla stella. Però, lo scorso febbraio CoRot ha individuato il più piccolo pianeta extrasolare finora scoperto, CoRoT-Exo-7b, con un diametro due volte minore di quello terrestre, una superficie dall'altissima temperatura (1000-1500 C) e molto probabilmente ricoperto di lava.
Questa missione europea non è l'unica che è stata pensata con l'obiettivo di trovare nuovi mondi simili al nostro. Lo scorso marzo la NASA ha lanciato Kepler, che sfrutta lo stesso metodo del transito. Ed è in preparazione Darwin, una missione composta da quattro sonde che prenderanno il volo verosimilmente nel 2015. In questo caso, si userà l'interferometria: su tre sonde saranno montati dei telescopi (circa 3 m) che raccoglieranno la luce dalle stelle e la invieranno alla sonda madre. Combinando i tre segnali con altissima precisione, sarà possibile rilevare solo la luce dovuta al pianeta presente.
ELISA MARIA ALESSI
Nell'immagine, il pianeta CoRoT-Exo-3b, scoperto nel 2008, a confronto con Giove (a destra) ed il Sole (a sinistra). Sebbene CoRoT-Exo-3b abbia dimensioni simili a quelle di Giove, la sua massa è pari a circa 21 volte quella del pianeta più massiccio del Sistema Solare.
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giovedì 9 luglio 2009
Banchi di polvere nella galassia
Il termine si riferisce a piccolissime particelle di materia, delle dimensioni di qualche frazione di micron (un micron è la decimillesima parte di un centimetro), formate da molecole a base di carbonio o silicio. A differenza del gas, l’altra componente fondamentale degli spazi interstellari, la polvere è costituita di materia allo stato solido.
Come già accennato, la polvere ha per anni tormentato gli astronomi, in quanto assorbe la radiazione emessa dalle stelle, oscurandole in parte e rendendo più difficile la loro osservazione. Ma la polvere, a sua volta, emette parte della luce che assorbe, anche se a lunghezze d’onda maggiori. Con la nascita dell’astronomia infrarossa, è stato possibile osservare le stesse regioni dell’universo con diversi strumenti ed isolare i vari contributi, dovuti sia all’emissione stellare che alla polvere. Questo ha permesso di imparare molto sulla distribuzione della polvere cosmica, che si trova su tutte le scale, a partire dal nostro sistema solare fino alle nubi dove si formano nuove stelle.
Nel 2005 l’ESO (European Southern Observatory, ovvero l’ente astronomico europeo) ha inaugurato un nuovo strumento nel deserto di Atacama, in Cile, dedicato all’osservazione della polvere: si chiama APEX, acronimo di Atacama Pathfinder Experiment, ed è un radiotelescopio - in pratica una grandissima antenna con diametro di 12 metri. APEX scruta il cielo a lunghezze d’onda ancora più grandi di quelle infrarosse, che corrispondono a temperature estremamente basse, dell’ordine di qualche decina di gradi sopra lo zero assoluto: l’ideale per esplorare la polvere “fredda” che permea le regioni di formazione stellare.
Dopo qualche anno di osservazioni, APEX ha prodotto una mappa della polvere nella nostra galassia (si veda l’immagine) che mostra una distribuzione discontinua ma molto estesa: si distinguono una regione particolarmente densa al centro, in corrispondenza del centro della Galassia, e una gran quantità di piccole strutture, che identificano regioni di intensa formazione stellare, e filamenti di materiale espulso da venti stellari ed esplosioni di supernovae.
CLAUDIA MIGNONE
In questa immagine composita si può vedere la distribuzione della polvere nella nostra galassia: in rosso-arancione si vedono le immagini a lunghezze d'onda sub-millimetriche riprese dal telescopio APEX, situato a 5100 metri di altitudine nel deserto di Atacama, Cile; in verde e blu sono state sovraimposte le immagini riprese in infrarosso da un precedente esperimento spaziale, il Midcourse Space Experiment (MSX). Immagine di ESO ALMA/APEX.
CLAUDIA MIGNONE
In questa immagine composita si può vedere la distribuzione della polvere nella nostra galassia: in rosso-arancione si vedono le immagini a lunghezze d'onda sub-millimetriche riprese dal telescopio APEX, situato a 5100 metri di altitudine nel deserto di Atacama, Cile; in verde e blu sono state sovraimposte le immagini riprese in infrarosso da un precedente esperimento spaziale, il Midcourse Space Experiment (MSX). Immagine di ESO ALMA/APEX.
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giovedì 2 luglio 2009
La scala cosmica delle distanze
Solo se conosciamo la luminosità (o magnitudine) intrinseca di un oggetto, la luminosità che osserviamo può darci informazioni sulla sua distanza. Per fortuna esistono alcuni oggetti di cui, grazie ad alcune specifiche proprietà fisiche, la luminosità intrinseca è nota: si chiamano candele standard. Quando si osservano due o più candele standard, la più brillante è, evidentemente, la più vicina.
Le candele standard usate per misurare le distanze nella nostra galassia e nelle galassie vicine sono le cosiddette Cefeidi. Si tratta di stelle la cui luminosità varia in modo significativo nel tempo: la caratteristica più interessante delle Cefeidi è l’esistenza di una relazione tra la scala temporale su cui avviene tale variazione e la loro magnitudine intrinseca. Misurare il periodo delle oscillazioni in luminosità di una Cefeide consente, quindi, di misurarne la distanza.
Nelle galassie molto lontane dalla nostra, le Cefeidi sono troppo deboli per essere osservate, e occorre cercare altri tipi di candele standard. Le supernove, esplosioni di stelle alla fine della loro vita, sono dei buoni indicatori di distanza extra-galattici; in particolare, le cosiddette “supernove di tipo Ia” hanno (presumibilmente) tutte la stessa magnitudine intrinseca, poiché derivano da esplosioni molto simili, e permettono di calcolare le distanze su scale molto grandi nell’universo.
Nelle galassie molto lontane dalla nostra, le Cefeidi sono troppo deboli per essere osservate, e occorre cercare altri tipi di candele standard. Le supernove, esplosioni di stelle alla fine della loro vita, sono dei buoni indicatori di distanza extra-galattici; in particolare, le cosiddette “supernove di tipo Ia” hanno (presumibilmente) tutte la stessa magnitudine intrinseca, poiché derivano da esplosioni molto simili, e permettono di calcolare le distanze su scale molto grandi nell’universo.
Cefeidi, supernove ed altre tecniche contribuiscono alla costruzione della cosiddetta “scala delle distanze”, in cui ciascun metodo viene calibrato sul metodo usato per determinare distanze minori: ad esempio, per calibrare le distanze misurate dalla luminosità delle supernove, si cercano galassie vicine in cui vi siano sia Cefeidi (la cui distanza è già nota) sia supernove.
La misura delle distanze è molto importante in cosmologia, poiché permette di stimare la dinamica dell’espansione del nostro universo. Proprio grazie a osservazioni di supernove è stato scoperto, nel 1998, che l’espansione, qualche miliardo di anni fa, ha iniziato ad accelerare: questa espansione accelerata, non contemplata dai precedenti modelli cosmologici, viene spiegata in termini di una misteriosa componente, la cosiddetta “energia oscura”, delle cui proprietà fisiche si sa ancora molto poco.
CLAUDIA MIGNONE
Come si può vedere in questa foto, l'esplosione di una supernova (il punto luminoso in basso a sinistra) è un evento di breve durata ma molto luminoso: nei giorni immediatamente successivi all'esplosione, la supernova è tanto brillante quanto la galassia che la ospita (visibile al centro della foto), il che permette di osservare supernove anche in galassie lontanissime. Immagine di NASA/ESA, The Hubble Key Project Team, and The High-Z Supernova Search Team.
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